L'Italia rischia il crollo ma il Pd pensa solo alle primarie

Manca il lavoro e le tasse crescono? Ai democratici non importa nulla. È più urgente la corsa alle poltrone e la lotta intestina tra Renzi e Bersani

L'Italia rischia il crollo ma il Pd pensa solo alle primarie

Roma - Nel villaggio dei Puffi-Pd ferve da mesi l'attività, come in un formicaio impazzito. Fuori succede di tutto, le aziende chiudono, la crisi si inasprisce, gli adulti perdono il lavoro, i giovani non lo trovano, il fisco azzanna, i pm dichiarano guerra alla politica e disseminano microspie nelle redazioni. Nel villaggio Pd, però, ci si occupa d'altro, da mesi. E si parla una strana lingua, proprio come nel villaggio dei Puffi: primarie aperte; no, primarie chiuse; forse primarie semiaperte; meglio socchiuse. Votano gli iscritti, gli elettori o gli aderenti? E gli aderenti devono aderire prima, dopo o durante? Nel gazebo delle primarie o in un altro gazebo, appositamente attrezzato per aderire? E il congresso va fissato ora o un po' più in là, quando viene comodo, o magari meglio evitare del tutto? E il candidato segretario sarà anche il candidato premier oppure ci vuole la separazione delle carriere e quindi se fai il segretario del Pd ti è severamente vietato di occuparti di elezioni e di governo del Paese?

Così, mentre il governo Letta sobbalzava sotto i colpi delle sentenze di Cassazione e dello scontro sull'Imu, la Direzione del Pd si riuniva per litigare sulla data del congresso, con i supporter di Matteo Renzi a chiedere «Guglielmo fissa la data», Guglielmo (Epifani) a scuotere la testa a labbra serrate: «No, la data no, non ve la do», l'ex segretario Bersani (quello che Grillo ha evocativamente ribattezzato Gargamella, come il grande nemico dei Puffi)ad incitarlo a tenere duro e a far smentire dai suoi che di congresso si sia mai parlato. Alla fine si sono toccati vertici che neppure nel magico mondo Pd si erano mai raggiunti, con i due co-presidenti dell'Assemblea nazionale (in realtà sono i vice, visto che la presidente Rosy Bindi si è dimessa la notte della trombatura di Prodi al Quirinale e nessuno si è preoccupato di sostituirla)che litigano sul testo di un comunicato sugli esiti della direzione, e quindi ne emettono due sostenendo cose opposte. Lui, Ivan Scalfarotto, renziano, scrive che è stata ribadita la convocazione del congresso per il 24 novembre. Lei, Marina Sereni, viene invece costretta da Franceschini e Bersani a smentire che ci sia alcuna data per le assise, che forse si faranno, forse no, comunque non ve lo diciamo ora. D'altronde l'affanno è comprensibile: l'allegro villaggio è atterrito dalla marcia inesorabile di un giovane conquistatore straniero (fiorentino, per la precisione) che minaccia non solo di prenderselo e occuparlo, ma anche di mandare all'ospizio tutto il Gran consiglio dei Puffi che finora hanno regnato e amministrato le scorte di salsapariglia, e per impedirglielo son pronti a tutto. Anche a perdere le prossime elezioni, per dire. Forse però stavolta si è esagerato. «È stata senza dubbio una figuraccia colossale - scrive durissimo del suo editoriale il direttore di Europa Stefano Menichini - con l'aggravante che la goffaggine della Direzione democratica attorno alla data del congresso si riverbera non solo sul gruppo dirigente, ma sull'intero corpo dei militanti. Uno spettacolo che si doveva risparmiare ad un partito sottoposto già a tanti traumi». E alla lunga anche i militanti iniziano a non poterne più: «Vogliono far votare il segretario dai soli iscritti, ma sapete quanti sono gli iscritti? - chiede polemico Gianni Pittella, uno dei candidati alla segreteria - Meno di 300mila, ormai. In intere regioni il tesseramento non esiste neppure più: andate a chiedere in Calabria, per dire».

Squarci foschi e confusione totale. Tanto da far perdere la pazienza anche a Napolitano, che venerdì li ha chiamati a rapporto, e che del villaggio Pd è un po' il Grande Puffo. Anche se ormai vive altrove e non li sopporta più.

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