"Il Lodo è stato un esproprio" Berlusconi snobba la mancia

Il leader Pdl si sfoga con i suoi dopo la richiesta del pg della Cassazione: "Vogliono farmi fuori sul piano patrimoniale e politico. Governo ok solo se rispetta i patti"

"Il Lodo è stato un esproprio" Berlusconi snobba la mancia

«L'esproprio» o, quando la confidenza con l'interlocutore lo permette, «la rapina del millennio». Lo chiama così Berlusconi, senza girarci troppo intorno e spesso condendo la frase con aggettivi piuttosto coloriti. Perché quando si parla del Lodo Mondadori e del risarcimento di 564 milioni di euro da versare a De Benedetti il Cavaliere non ha alcuno dubbio: «Un furto in piena regola».
Cambia poco, dunque, che ieri il procuratore generale della Cassazione abbia chiesto alla Corte di ridurre l'indennizzo del 15%, circa 80 milioni. Andassero davvero così le cose, è il ragionamento fatto dall'ex premier nelle sue conversazioni private, si tratterebbe di una sorta di «mancia» rispetto ai quasi 500 milioni che l'editore del gruppo Espresso-Repubblica andrebbe ad incassare. «Ingiustamente», ha sempre ribadito in pubblico e in privato Berlusconi.

E ancora negli ultimi giorni il Cavaliere si è ritrovato a ripercorrere le diverse tappe della vicenda, ricordando che la sentenza della corte d'Appello di Roma che annullava il Lodo Mondadori dando origine all'intera vicenda fu emessa da un collegio di tre giudici. Uno di loro venne successivamente ritenuto colpevole di corruzione, peraltro dopo essere stato prima assolto. Ma gli altri due – ripete Berlusconi – non sono mai stati sfiorati dal sospetto e hanno sempre detto di aver condiviso il verdetto. Circostanza che per il Cavaliere dimostra come «la sentenza non fu inquinata» e quanto i magistrati siano ormai «prevenuti nei miei confronti».

È per questa ragione che la riduzione chiesta dal pg della Cassazione lo lascia sostanzialmente indifferente. Il punto, infatti, è che l'accusa ha respinto quasi tutti i rilievi degli avvocati della Fininvest definendoli «infondati» e adesso la parola passerà alla Corte. Con Berlusconi che ormai nella giustizia non crede affatto, anzi si dice fermamente convinto che esista un unico filo che unisce le diverse inchieste e i diversi processi degli ultimi anni. Con un obiettivo dichiarato: «Farmi fuori sul piano patrimoniale, sul piano dei diritti politici e civili e sul piano della libertà personale» (concetto ribadito in un'intervista che uscirà domani su La Discussione).

Lo scenario – condito anche dall'inchiesta di Napoli su De Gregorio – il Cavaliere l'ha descritto con dovizia di particolari a Napolitano mercoledì scorso. Lasciando intendere che il governo non avrà contraccolpi ma «solo se saranno rispettati gli accordi». È chiaro, infatti, che se a quello che definisce «l'assedio dei magistrati» si aggiunge anche il «completo immobilismo dell'esecutivo sul fronte economico» tenere «tutto insieme» diventa difficile. «La gente vuole fatti concreti e noi non glieli stiamo dando», insiste il Cavaliere con i suoi. Non è un mistero che il Pdl sia deluso dalle misure sul lavoro, su Iva e Imu. E che nel mirino sia finito il ministro dell'Economia Saccomanni. Il punto, concorda l'ex premier con alcuni parlamentari, è che «le misure fin ad ora prese sono assolutamente inadeguate per rispondere alla crisi e continueranno ad esserlo finché non saranno trovate adeguate coperture». E invece la sensazione è che a via XX Settembre stiano ragionando perfino su nuove tasse.

Un Cavaliere che non mette in discussione il governo, dunque, ma che resta movimentista. Sul fronte economico, in particolare. Ma anche più in generale su quello politico. Come dimostra l'emendamento presentato in commissione Affari costituzionali del Senato e che mira a intervenire su quella parte della Costituzione che disciplina gli organi della magistratura.

Esagera il Pd quando lo considera un atto di guerra, ma è chiaro che vuole essere un segnale alla maggioranza. Come pure la volontà di tornare a Forza Italia prima dell'estate, visto che un «nuovo» partito di solito serve quando si pensa di dover affrontare una campagna elettorale.

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