Roma - Quello del segretario Pdl Angelino Alfano suona come un ultimatum: «Il Pd dica una parola chiara sulla non retroattività della legge Severino, che riguarda un pilastro fondativo di ogni ordinamento democratico».
Ancor più esplicito è Renato Schifani: «Se dalla Giunta delle elezioni del Senato - avverte il presidente dei senatori Pdl - dovesse arrivare un voto politico, che rispecchiasse le distinzioni delle forze in campo, sarebbe impossibile continuare nella convivenza» con Pd e Scelta Civica nella maggioranza che sostiene il governo. E ribadisce: la legge Severino per Berlusconi non si può applicare.
Salgono i toni, alla vigilia della riunione dell'ufficio di presidenza della Giunta del Senato che alle 13,30 stabilirà tempi e modalità per affrontare, il prossimo lunedì, la possibile decadenza di Silvio Berlusconi da parlamentare, dopo la condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale.
Lo show down sembra avvicinarsi, tra prove di forza del centrosinistra che maschera le sue divisioni interne dietro appelli alla compattezza contro l'avversario e ultimi avvisi del Pdl, il cui il gruppo del Senato si riunisce oggi alle 13. Il principio è: la scelta sul destino politico del Cavaliere non può essere obbligata e i tempi brevi non darebbero al leader lo spazio per una reale difesa. Così, il partito di Berlusconi spinge il Pd ad uscire allo scoperto, a confermare che i membri della Giunta sono già sulla linea subito fissata dal segretario Guglielmo Epifani: vogliono far fuori Berlusconi e basta. Insomma, il loro voto sarà minato dal pregiudizio, non basato su argomenti giuridici, ma solo politici.
Alfano ricorda i «numerosi pareri di giuristi insigni, personalità neutre e al di là di ogni appartenenza, che confermano la inapplicabilità al passato della legge Severino». La questione, spiega, non è solo quella personale di Berlusconi, ma quella di un principio di diritto: la non retroattività delle misure afflittive, «inequivocabilmente riconosciuto dalla giurisprudenza europea, dalla Convenzione europea (art. 7) e dalla Costituzione italiana (art. 25)».
Schifani anticipa la richiesta di un voto di merito sulla non decadenza o, in subordine, un ricorso alla Corte costituzionale o alla Corte Europea. Ma si chiede che imparzialità ci si può aspettare da un organismo che appare minato da pregiudizi e domanda al presidente del Senato Pietro Grasso di sostituire chi, in questi giorni, ha anticipato la sua posizione. Ieri, sull'Unità, il presidente della Giunta Dario Stefàno (Sel) ha previsto una decisione in tempi «ragionevolmente rapidi», «senza scappatoie elusive». E in un'altra intervista ha spiegato il suo no al ricorso alla Consulta. Altri componenti Pd, dalla vicepresidente Stefania Pezzopane a Felice Casson, si sono sbilanciati come lui. Risultato: sembra già scritto che la maggioranza dei 23 membri dirà no al rinvio, in attesa della Corte costituzionale o della pronuncia della Corte d'appello sull'interdizione dai pubblici uffici di Berlusconi e vuole votare subito per la decadenza. «È di tutta evidenza - attacca Schifani - la violazione degli elementari principi di riservatezza da parte di alcuni membri della Giunta, che hanno a mezzo stampa dichiarato come voteranno, prima degli adempimenti previsti». Grasso risponde che la sostituzione non è nei suoi poteri.
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