Sembrerebbe incredibile se non fosse vero. Il premier Matteo Renzi chiede i voti sia dei suoi elettori che di quelli di centrodestra e dei grillini per andare avanti nella riduzione delle imposte. E porta gli 80 euro in busta paga come l'esempio fondamentale di questa sua politica. Ma sino ad ora, per quel che si è riusciti a vedere, Renzi anziché ridurre le imposte, le ha aumentate.
Infatti, con riguardo a quest'anno, le ha spostate da una spalla all'altra del contribuente ma mentre per quel che riguarda il suo sgravio principale, quello degli 80 euro, si tratta di una diminuzione transitoria, invece agli aumenti di tributi che lui ha introdotto, sono permanenti. È un gioco di prestigio che non sarebbe tanto difficile da scoprire, se lui dicesse le cose come stanno, invece di procedere per slogan e proclami. Gli 80 euro di sgravio ai bassi redditi, in Irpef hanno una copertura intera solo per questo anno. Per il prossimo anno la copertura per ora stanziata è di 800 milioni. Poiché l'onere per il bilancio pubblico per minore entrata, su base annua, è di 6,6 miliardi, ne mancano ancora 5,8. Se nel 2015 (e negli anni a venire) non si taglieranno le spese per 5,8 miliardi, gran parte del bonus di 80 euro potrebbe non essere confermato, per mancanza di copertura. Oppure questa dovrà essere trovata con altri aumenti fiscali, oltre a quelli che sono stati introdotti nel periodo in cui Renzi è al governo. Che sono gravami pesanti, in prevalenza su chi possiede immobili o vi sta in affitto e su chi possiede cosiddette «rendite finanziarie», cioè obbligazioni, azioni, quote di fondi di investimento, depositi bancari.
Per cercare di nascondere il trucco, per cui invece che ridurre le imposte le aumenta, Renzi ha adottato un altro sistema. Infatti, mentre la riduzione temporanea dell'Irpef sul lavoro dipendente di entità modesta è entrata in vigore con questo mese, la Tasi sulla prima casa, che è dovuta in via permanente sin dal 2014, deve essere pagata ai Comuni a dicembre e per ora non se ne conosce l'entità. Potrebbe essere eguale, superiore o inferiore all'Imu sulla prima casa fissato con la legge Salva Italia per il 2012 dall'allora premier Mario Monti, successivamente ridotto per il 2013 dal successivo premier Enrico Letta.
Analogo trucco viene applicato per la Tasi sugli immobili diversi dalla prima casa, per tutti i Comuni che sino allo scorso sabato non avevano determinato l'aliquota, che sono ben 6mila su un totale di 8mila: per essi il nuovo tributo sarà determinato entro settembre e si pagherà in ottobre. Il decreto legge che istituiva la Tasi, dovuto dal governo Letta, che è stato convertito in legge ai primi di aprile dal governo Renzi, comportava un gettito di 3,7 miliardi. Nella conversione in legge Renzi non solo ha confermato questo tributo, ma ha aumentato la pressione fiscale massina del totale di Imu e Tasi di 0,8 per mille. Secondo il governo ciò mantiene invariato il gettito a 3,7 miliardi, ma secondo l'opposizione (e a mio parere) il gettito può aumentare di almeno un miliardo abbondante, arrivando a 5 miliardi. L'imposta sulle rendite finanziarie, che è stabilita in un decreto legge di Renzi in attesa di conversione in legge dovrebbe rendere, su base annua, 3 miliardi e quest'anno 720 milioni. Serve per coprire la riduzione di Irap, che però riguarda le aliquote massime e non è certo che sarà realizzata. Comunque c'è anche un aumento dell'imposta sulle plusvalenze realizzate date dalle banche vendendo quote delle loro azioni in Banca di Italia per 1,7 miliardi.
Nel gioco di prestigio di Renzi le imposte scendono, ma per il contribuente salgono.
E ciò soprattutto per chi possiede qualche immobile e qualche risparmio finanziario, quel ceto medio e minuto laborioso e risparmioso di cui Renzi chiede il voto, con la promessa di ridurre ancora le imposte. Ma se il bel giorno si vede dal mattino, c'è il pericolo di nuove «riduzioni fiscali» che sono aumenti. La verità è che il lupo (Pd) perde il pelo, ma non il vizio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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