Da Marine Le Pen a Tsipras il leader straniero ci conquista

La capopopolo francese e quello greco sono diventati icone: è solo l'ultimo esempio dell'esterofilia provinciale che affligge i politici di casa nostra

Da Marine Le Pen a Tsipras il leader straniero ci conquista

Tutti pazzi per Marina. Intendiamo Le Pen. La leader della destra anti europea francese è diventata un'icona, come un'icona è la Merkel (per il partito degli ortodossi europeisti col Deutsche Mark nel taschino), come altre icone del recente passato, tutte regolarmente non italiane. Anzi, noi italiani arriviamo al punto di adorare, o vituperare, i giornali stranieri che scrivono, in genere male, di noi. Ecco che un articolo del Financial Times diventa una dichiarazione diplomatica e il giornalismo del salotto buono si sdraia con ardente compunzione. Quando la prima frangia dei socialisti di sinistra diventò comunista, i suoi militanti cantavano: «E noi farem come la Russia, e noi farem come Lenìn». Lasciamo perdere l'antico slogan di sopravvivenza «O Franza o Spagna purché se magna» che pure indica una dipendenza esterofila che risale a Carlo VII, ma guardiamoci intorno. La sinistra post comunista italiana ha sempre indicato come propri numi tutelari i presidenti americani democratici: la saga dei Kennedy, generosamente alimentata da Walter Veltroni; la saga dei Clinton Lewinsky inclusa, la saga dei Kerry e poi quella di Obama sui cui droni che volteggiano e colpiscono come astronavi da videogioco nessuno ha da ridire. Obama è un simbolo, e non si tocca. Persino Hollande, che è un fallimento senza scampo, già sta nella galleria dei padri delle patrie altrui, ma assunti in leasing nel fragile e mutante immaginario collettivo di casa nostra. Ai tempi della Thatcher, che come ha ricordato ieri Alessandro Sallusti era una che mandava a quel paese l'Europa molto meglio della Le Pen, la lady di ferro non fu mai accettata nella galleria dei padri (stranieri) della patria nostrana. Troppo netta, troppo secca, troppo brava, odiosamente efficace. Pussa via, Lady di Ferro.

Probabilmente questa esterofilia in amministrazione controllata (dai nostri media) è una faccenda genetica. Almeno, nel secondo dopoguerra. La neonata Repubblica aveva deciso che non dovessero esserci leader e che dovesse prevalere sempre la paura del tiranno: per questo i mitizzati «padri costituenti» inventarono il bicameralismo perfetto, così da poter sempre mettere i bastoni fra le ruote nel caso fosse spuntato un leader che potesse stare sulla scena alla maniera di Ronald Reagan, Charles de Gaulle, o dei grandi vecchi della repubblica federale tedesca. Prova ne sia che quando apparve Berlusconi sul proscenio, a prescindere e prima ancora che facesse qualsiasi cosa, si scatenò l'ira di Dio e quella dei tribunali. Poche sere fa Massimo Cacciari, ospite da Santoro, ha detto che la messa fuori gioco per vie giudiziarie del leader riconosciuto da molti milioni di italiani è un danno per la democrazia, non un danno soltanto per Berlusconi. Essendo la leadership vietata e sconsigliata in Italia (vedremo quanto sopravvivrà Matteo Renzi che già è accusato di berlusconismo acuto e congenito) ed essendo tuttavia la domanda di leadership politica un banale diritto umano, ecco che questa necessità si canalizza in correnti forestiere come quelle del Fronte di Marine Le Pen oppure della sinistra radicale di Alexis Tsipras, quando non impattano nell'indecifrabile Movimento cinque stelle che prende chilometri di distanza dalla «pasionaria» francese.

Una sola osservazione sulla Le Pen: questa donna è una delle tante che in politica, nel mondo si batte da anni per le sue idee e vince senza quote rosa e parità di genere. E ha assunto una leadership tale da far tremare l'Eliseo.

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