Il mini-bonus? Una magia contabile

Gli 80 euro promessi potrebbero arrivare da un calcolo meno prudenziale della spesa per interessi

Il mini-bonus? Una magia contabile

Roma - Il Fondo monetario lo promuove. Renato Brunetta lo boccia. Il Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri resta nei cassetti di Palazzo Chigi. Renzi aveva detto che il testo era impostato alla prudenza. E forse non solo alla prudenza. Anche a un cocktail di «interpretazione elastica» dei Trattati, peso specifico (come può venire dalla presidenza di turno della Ue), scambio fra deficit e riforme. La prova si ha dai pochi numeri del Def. Esattamente un anno fa, il governo Letta-Saccomanni aveva previsto una spesa per interessi per quest'anno pari al 5,4% del Pil, circa 86 miliardi di euro: a tanto ammontava infatti - secondo il governo precedente - il costo per remunerare chi sottoscrive titoli del debito pubblico. Lo spread dei nostri bond decennali era sopra i 300 punti con gli omologhi titoli tedeschi. Il Def di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan indica una spesa per interessi per quest'anno pari al 5,2% del Pil, qualcosa come 82,5 miliardi di euro. Lo spread, però, è la metà di quello di dodici mesi fa. Eppure il risparmio di spesa per interessi è appena 3,5 miliardi. Magìe della contabilità pubblica. In compenso, peggiora il deficit strutturale. Letta lo prevedeva per quest'anno pari allo 0,1% del pil. Il premier Renzi lo alza allo 0,6%. E tanto basta a Brunetta per dire che il governo sta sforando i parametri europei e nazionali. Il capogruppo di Forza Italia alla Camera osserva che il governo, allontanandosi dal pareggio di bilancio previsto dalla Costituzione, «deve sentire la Commissione europea per avviare una complessa procedura in cui siano evidenti le cause che hanno determinato lo scostamento e definire un conseguente piano di rientro. Lo ha fatto Renzi?».

A Brunetta sembra rispondere Antonio Tajani. Il vicepresidente della Commissione Ue non interviene se il governo ha più o meno informato Bruxelles sull'intenzione di far slittare il pareggio del deficit strutturale (ben diverso da quello nominale, per intenderci: il 3%). Osserva, però, «che le regole sono strumenti per raggiungere l'obbiettivo: si possono anche cambiare ed interpretare. Ma l'interpretazione flessibile dev'essere accompagnata da interventi e proposte concrete da dare in cambio». Le famose riforme strutturali. E quelle contenute nel Def (o meglio, nel Piano nazionale delle Riforme) vanno nella «giusta direzione». A dirlo è il Fondo monetario internazionale. Anche gli uomini di Washington insistono, insieme alla Commissione europea (e Brunetta), sul pareggio di bilancio. Ma apprezzano soprattutto l'intenzione del governo di ridurre il peso fiscale sulla busta paga: gli 80 euro. Per conoscere nel dettaglio dove verrà recuperata la «quattordicesima» che Renzi dice di voler dare a chi guadagna meno di 25mila euro, bisognerà aspettare venerdì prossimo. La Confindustria sprona il governo «affinché le misure programmatiche non finiscano nel limbo degli annunci». Ma «possano dar vita ad un progetto di sviluppo e di cambiamento realmente strutturale».

Tra le tabelle rimaste nei cassetti di Palazzo Chigi (e del ministero dell'Economia) c'è quella che indica (o dovrebbe indicare: prima o poi) l'andamento tendenziale e programmatico delle entrate e delle spese. Si tratta, cioè, della tabella che mostra se ci saranno realmente minori tasse e minori spese. O se le risorse per concedere gli 80 euro al mese arriveranno chissà da dove; magari, proprio da una diversa contabilizzazione dei risparmi della spesa per interessi: visto che i 3,5 miliardi di minore spesa per interessi appare «prudente» - per usare una formula del presidente del Consiglio - rispetto all'andamento dello spread.

Una specie di «salvagente» da utilizzare qualora la spending review non dovesse garantire i 4,5 miliardi attesi. Ma si tratta di argomenti che il premier Renzi fa capire che conta di utilizzare quando sarà presidente di turno della Ue. Tant'è che il Def parla apertamente della possibilità di chiedere deroghe ai Trattati.

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