Il ministro fuori dal mondo protetto da stampa e salotti

Bray conserva intatta la sua serenità, un "bene" tutelato dal silenzio della grande stampa. La stessa che spinse Bondi alle dimissioni dopo la caduta di un muro proprio a Pompei

Il ministro fuori dal mondo protetto da stampa e salotti

Impermeabile a tutto, il ministro dei Beni culturali Massimo Bray l'altroieri sera twittava: «Teatro Massimo. Per la Traviata cast straordinario». Ordinari sono invece gli ennesimi, gravi crolli a Pompei e alla reggia di Caserta avvenuti in queste ore. Bray però conserva intatta la sua serenità, un «bene» tutelato dal silenzio della grande stampa. La stessa che spinse Sandro Bondi alle dimissioni dopo la caduta di un muro proprio a Pompei. Due pesi, due misure. Le polemiche attorno all'operato di Bray sono vivaci, per usare un eufemismo, ma non se ne ha mai notizia. Il ministro non gode affatto di un consenso universale. Il progetto di riforma del Mibact ha suscitato il malcontento (preventivo, va sottolineato) dell'intero settore, dalle associazioni ai sindacati, dagli operatori ai dirigenti del ministero stesso. Tra le altre proposte, c'è il ripensamento delle attuali direzioni generali tecnico-scientifiche, a vantaggio di una nuova struttura (si dice che al critico Tomaso Montanari sarà offerto un ruolo importante); un diverso rapporto tra soprintendenze e musei, in teoria più indipendenti; la creazione di un dipartimento per l'innovazione tecnologica. Senza entrare nel merito delle misure, possiamo osservare come il fuoco incrociato a cui sono già state sottoposte non riesca a raggiungere le pagine dei quotidiani. Anche se volano paroloni. Quasi tutti indicano le nuove norme come esempio di «centralismo burocratico». Bibliotecari, archivisti e archeologi se la prendono con «l'ennesima misura di stampo assistenzialista». Alti quadri del Mibact tengono lezione al ministro su come si risparmia sul serio. I soprintendenti pronosticano che le spese si moltiplicheranno. Naturalmente c'è chi teme il cambiamento e chi tira l'acqua al proprio mulino. Ma c'è anche chi parla di provvedimenti insufficienti e mancata apertura ai privati. Torniamo a Pompei. Qui è attesa la nomina di un direttore generale che dovrà gestire il restauro finanziato con 105 milioni dall'Unione Europea. Il nome deve arrivare entro il 9 dicembre, altrimenti addio soldi. In prima fila ci sarebbero Fabrizio Magani, ora direttore in Abruzzo, e Adele Campanelli, archeologa. Mentre Bray, ovviamente su Twitter, invita a mantenere la calma, sindacati e associazioni esprimono preoccupazione per i «tempi messicani» necessari a risolvere la questione. Nell'attesa, dicono, è ripartito lo stillicidio dei crolli e sono stati aperti solo 5 cantieri dei 39 previsti. Anche in questo caso, piovono critiche: lentezza, finta semplificazione, vera moltiplicazione dei posti. Ci fermiamo qui, ma tornando indietro di poche settimane troveremmo un decreto che è riuscito a scontentare sia le Fondazioni liriche sia i detrattori delle Fondazioni stesse. In altre occasioni, e con altri esecutivi, i giornaloni avrebbero sguazzato in queste polemiche, traendo conclusioni, anche affrettate, sulle capacità del ministro.

Oggi invece non se ne trova traccia. Si vede che tutto può cadere tranne Bray e il governo delle (ex) larghe intese. Non a caso il presidente Napolitano, indignato per i crolli all'epoca di Bondi, ora non trova nulla da dire.

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