Adesso che Moleskine debutta in Borsa a Milano, forse Bruce Chatwin si cercherebbe un altro taccuino Tutto ha inizio nel 1987, con un libro che si chiama Le vie dei canti e lui è uno scrittore già famoso, ma non ancora mitico. «Ti spiace se uso il mio taccuino? Fa' pure. Tirai fuori di tasca un taccuino con la copertina di tela cerata, tenuto chiuso da un elastico. Bello commentò. Li compravo a Parigi, ma adesso non li fanno più. A Parigi? ripeté inarcando un sopracciglio, come se fosse la cosa più snob che avesse mai sentito. Poi mi strizzò l'occhio e riprese il discorso».
Ci vogliono altre 200 pagine perché Chatwin ritorni sull'argomento e il lettore ne sappia di più. «Con l'ordine maniacale che accompagna l'inizio di un progetto, sistemai i miei taccuini parigini in tre pile ordinate. In Francia questi taccuini si chiamano carnets moleskine: moleskine, in questo caso, è la rilegatura di tela cerata nera. Ogni volta che andavo a Parigi, ne compravo una scorta in una papeterie di Rue de l'Ancienne Comédie. Avevano le pagine quadrate e i risguardi trattenuti da un elastico. Li avevo numerati in progressione. Sul loro frontespizio scrivevo il mio nome e indirizzo e offrivo una ricompensa a chi lo ritrovasse. Perdere il passaporto era l'ultima delle preoccupazioni; perdere un taccuino era una catastrofe. In vent'anni e più di viaggi ne ho persi soltanto due. Uno era scomparso in un autobus afghano. L'altro era stato requisito dalla polizia segreta brasiliana che, con una certa perspicacia, credette di riconoscere in alcune righe che avevo scritto - a proposito delle ferite di un Cristo barocco - una descrizione in codice delle sue pratiche ai danni dei prigionieri politici. Qualche mese prima che partissi per l'Australia, la padrona della papeterie mi disse che diventava sempre più difficile trovare il vrai moleskine. Era rimasto un fornitore solo. Una piccola azienda familiare di Tours che a rispondere alle lettere ci metteva molto tempo. Vorrei ordinarne cento dissi a Madame. Cento mi basteranno per tutta la vita. Promise di telefonare a Tours nel pomeriggio. All'ora di pranzo ebbi un'esperienza che non mi imbaldanzì. Il capo cameriere della Brasserie Lipp non mi riconobbe più: Non, Monsieur, il n'y a pas de place. Alle cinque mi presentai al mio appuntamento con Madame: il fabbricante era morto e gli eredi avevano venduto l'azienda. Lei si tolse gli occhiali e, con un'espressione quasi luttuosa, annunciò: Le vrai moleskine n'est plus».
In meno di cinquanta righe, c'è tutto Chatwin: il possessore di qualcosa che non esiste più e di cui è come l'ultimo depositario, il viaggiatore dai luoghi insoliti o dagli incontri pericolosi (un autobus in Afghanistan, gli agenti segreti in Brasile
), amante dell'arte (il Cristo barocco), come della buona tavola (Lipp), sufficientemente snob per prendersi in giro (la strizzata d'occhio del primo interlocutore, il maitre che non gli trova un tavolo), un misto di verità e fantasia inestricabile nel suo essere plausibile. Scriverà la moglie Elizabeth che «nel suo mondo tutti gli anatroccoli erano cigni» e aveva ragione: persino un banale bloc notes poteva trasformarsi in qualcosa di raro e artistico.
Qui finisce la storia, già però leggenda, dei moleskine dell'autore di In Patagonia. Quella che viene dopo è un'invenzione italiana. Siamo alla metà degli anni Novanta e proprio leggendo Le vie dei canti, Maria Sebregondi si imbatte nella paginetta sopra-citata. Stando al suo successivo racconto, decide di saperne di più e «scopre» che nella prima metà del Novecento i moleskine sono stati i taccuini usati da Picasso e da Matisse, da Hemingway
Non è propriamente una verità storica, ma ha dalla sua la verosimiglianza, la plausibilità e la probabilità: perché no, insomma, perché prima di Chatwin artisti e romanzieri non possono aver comprato nelle cartolerie parigine da loro frequentate taccuini del genere? Maria Sebregondi ne parla con una piccola azienda milanese, la Modo & Modo, specializzata in articoli da cancelleria, e nel l997 cinquemila Moleskine vengono prodotte. L'anno dopo siamo già a trentamila; oggi, dopo l'acquisto, sette anni fa, per 60 milioni di euro, da parte della francese Société Générale, si calcola un dieci milioni di pezzi e un mercato di sessanta e passa Paesi
Design italiano, stampa e carta cinesi (non è forse la Cina la patria della carta, si replicherà all'accusa di usare la mano d'opera a basso costo di un Paese oscurantista
), quelli che Chatwin riteneva fossero i «suoi» taccuini, sono dunque un patrimonio comune, di pari passo con l'esplodere di una travel-mania che nello stesso arco di tempo ha visto il successo delle guide Lonely Planet, del turismo avventuroso, eccetera. Ci sono siti Web che ne portano il nome, nonché Facebook Groupes che si incontrano grazie al suo possesso, ulteriore paradosso dell'epoca della Rete e dell'informazione on line.
Torniamo da dove siamo partiti. Un mio amico scrittore, quando gli ho parlato di questo articolo, mi ha subito bloccato: «Non li uso, mi faccio fare dei taccuini su misura da
» e mi ha detto il nome di una cartoleria milanese che qui non riporto perché non vorrei diventasse un'altra moda e lui mi togliesse il saluto.
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