Senza dover scomodare complessi algoritmi, la più elementare delle leggi economiche stabilisce che a fronte di maggiori entrate un debito cala. Ciò, purtroppo, non vale per lo Stato italiano: benché i nostri soldi finiscano sempre più risucchiati nel vortice di tasse e balzelli, gonfiando le casse dell'erario, l'indebitamento pubblico continua a lievitare.
Il paradosso contabile appare evidente dai dati diffusi ieri da Bankitalia. Mettendo a segno un nuovo record, in giugno il debito pubblico è aumentato di 600 milioni di euro rispetto al mese prima, toccando complessivamente quota 2.075,1 miliardi. A questo ritmo, è assai probabile che entro dicembre il rapporto debito-Pil, che va a impattare sulle manovre di risanamento, raggiunga il 133% allontanandosi vieppiù dal limite del 60% previsto dal Trattato di Maastricht. Tutto ciò malgrado il nostro Paese sia riuscito a contenere al di sotto del 3% l'altro parametro cardine, quello sul disavanzo, e possa ormai da anni vantare un avanzo primario, cioè al netto degli interessi.
Il debito appare insomma come qualcosa di incomprimibile, perfino nei mesi in cui le entrate tributarie dovrebbero consentire - almeno - una limatina. Giugno è storicamente un periodo propizio per l'erario. Ancor di più da quando il mese coincide con il versamento della prima rata dell'Imu (con la nota eccezione delle prime case). Seppur meno ricco rispetto al 2012, l'acconto dovrebbe aver garantito un introito attorno ai 10 miliardi. In ogni caso, anziché diminuire, le entrate tributarie sono ammontate a 46,3 miliardi, il 21,5% in più (8,2 miliardi) rispetto allo stesso mese dello scorso anno (38,1 miliardi). È la conferma di una «spremitura» che nei primi sei mesi dell'anno ha portato nelle casse del fisco quasi 190 miliardi, con una crescita del 5,14% se confrontata con il periodo gennaio-giugno 2012.
Il rischio è però che nei prossimi mesi, in particolare se verrà ripristinata l'Imu anche sulle prime case e sarà ritoccata l'Iva verso l'alto di un punto percentuale, le entrate possano subire un colpo d'arresto. I consumi privati, già falcidiati dalla crisi e dal sempre maggior numero di senza-lavoro, si contrarrebbero ulteriormente penalizzando il gettito fiscale. Nel chiedere una diversa politica economica, il Codacons sottolinea infatti che il nuovo aumento del debito pubblico a giugno, abbinato all'aumento delle entrate tributarie, «dimostra che le troppe tasse non solo non bastano per ridurre il debito, ma diventano addirittura nocive se determinano una riduzione della ricchezza del Paese».
Ma cosa ha determinato la crescita in giugno del debito pubblico? L'aumento, spiega Bankitalia, è dovuto all'incremento (13,9 miliardi) delle disponibilità liquide del Tesoro che ha più che compensato l'avanzo della pubblica amministrazione. Insomma, par di capire che tutto sia riconducibile alla prudenza con cui sta operando via XX Settembre. Le disponibilità liquide, infatti, altro non sono che dei quattrini depositati su un conto corrente per far fronte a future necessità. In pratica, il Tesoro approfitta delle buone condizioni di mercato (tassi più favorevoli) per indebitarsi per una cifra superiore a quanto sarebbe necessario. Nei primi sei mesi l'aumento delle disponibilità liquide del Tesoro è stato pari a 41,9 miliardi e sommato ai 44,5 miliardi di fabbisogno della Pa ha fatto salire di 86,5 miliardi il debito.
È peraltro probabile che il Tesoro, viste le
condizioni di mercato, stia ancora mettendo in atto questa strategia. Lo spread è sceso infatti ieri a quota 245 (minimo da due anni) e il rendimento dei Bot annuali è calato all'1,053% (1,078% nel collocamento di luglio).- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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