Roma - Un caffè con il presidente, quattro chiacchiere sulle prospettive politiche mentre fuori, nella Loggia alla Vetrata, i corazzieri sono già sugli attenti e la delegazione successiva aspetta il suo turno nella Sala del Bronzino. Dalle 10 all'una nove gruppi, più Schifani e Casini, salgono sul Colle, vengono consultati e si offrono per la photo-opportunity. Venti minuti a testa, del resto, come dice Giorgio Napolitano, c'è poco da scoprire: «Una conclusione prevista e segnata, non ci sono ombre». E quindi, Camere sciolte, Italia al voto il 24 e 25 febbraio. Unico enorme dubbio, il futuro del Prof. Il capo dello Stato lo invita a rimanere neutrale: «Ho preso nota della preoccupazione dei partiti riguardo alla terzietà che dovrebbe avere durante la campagna e la trasmetterò al presidente del Consiglio».
Come dire: caro Mario, resta fuori dalla mischia. Un concetto che ripete qualche ora più tardi, quando al Quirinale arriva Monti per la firma dei decreti elettorali e ci resta per un'ora buona «per illustrare la sua visione». Chissà se Monti darà retta al presidente. Intanto il governo dei tecnici, spiega Napolitano alla conclusione della giornata, merita la promozione. «Ha avuto effetti in chiave di credibilità e autorevolezza del paese in Europa e sulla scena internazionale», quindi non sarebbe il caso di disperdere il tesoretto. Sul piano dell'«equità» sociale di certe decisioni invece giudizio sospeso. «Spetta alla forze politiche dare una valutazione di piena soddisfazione o meno per un aspetto o per l'altro», puntualizza il presidente che anche qui sembra prendere un po' le distanze da Supermario.
Consultazioni flash, formali ma velocissime, rituali quanto basta per dare una cornice più istituzionale all'eutanasia di una legislatura. L'esecutivo è scivolato a tre mesi dalla fine, il Professore ha rimesso il mandato dopo la legge di stabilità senza passare per le Camere per essere sfiduciato. Qualche purista potrebbe obiettare, ma Napolitano sostiene che «la strada era quella». Dunque non c'era alternativa, «la conclusione era segnata dai fatti fin dall'inizio del mese, quando il segretario del Pdl mi ha formalmente comunicato la decisione del suo partito di rendersi libero di non appoggiare il governo e di conseguenza il presidente Monti ha ritenuto di doverne trarre la conclusione». E poi la legislatura era comunque arrivata al capolinea.
Un finale già scritto, scontato, formalizzato adesso dalle consultazioni presidenziali. Certo, il capo dello Stato voleva un epilogo diverso e meno amaro. Se non ha gradito la scossa elettrica praticata dal Pdl, nemmeno la «brusca accelerazione» decisa dal premier gli è piaciuta, e l'ha detto chiaramente. C'è infatti «rammarico» per le occasioni perse, per le riforme lasciate a metà, dalla Province da tagliare alle spese per la politica da ridurre, per il Porcellum che non si è riusciti a cambiare. Per non parlare del provvedimento sulle firme elettorali, che si è incagliato al Senato. Ma ora lo scioglimento era inevitabile. «Non esisteva più alcuno spazio - dice Napolitano - per sviluppi in sede parlamentare, c'era solo il tempo minimo per approvare la legge di stabilità e il bilancio per evitare l'esercizio provvisorio».
Ora la parola, dopo cinque anni, è ai cittadini. Il capo dello Stato invoca, senza molte speranze, un confronto sui contenuti. «Dai partiti mi aspetto che la campagna elettorale sia condotta con il massimo della misura, con spirito competitivo, ma produttivo». Quanto a lui, nessun discorso alla nazione, come si era pensato. «Ho visto che alcuni giornali scrivono di un mio messaggio al Paese.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.