Roma - I riflettori periodicamente si accendono. Le promesse si succedono, insieme ai roboanti annunci dei leader politici di turno. E non mancano le nomine, esecutivo dopo esecutivo, di mitologiche figure dalle Mani di Forbice, ovvero i vari commissari alla spending review. Alla fine, però, l'Eldorado delle retribuzioni dei dirigenti ministeriali resiste, intatto e apparentemente intoccabile. Un universo parallelo fatto di buste paga pesantissime e stipendi d'oro sul quale non tramonta mai il sole. Alla faccia della crisi, dei tagli di organico e retribuzioni nel privato e delle feroci diete dimagranti imposte a colpi di imposte a tutti gli italiani. A novembre un rapporto Ocse ha svelato come con 650mila dollari di stipendio medio annuo i senior manager della pubblica amministrazione centrale italiana siano nientemeno che i più pagati dell'intera area Ocse. Il calcolo era fatto su 6 ministeri e prima che nel 2012 venisse istituito un tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici che non permette di superare il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione (300mila euro annui lordi). Resistono comunque diverse eccezioni. E su tutto grava una cappa di nebbia che ancora oggi impedisce di verificare con piena trasparenza come vengono utilizzati i denari dei contribuenti, nonostante gli sforzi messi in campo da Renato Brunetta durante il suo mandato da ministro della PA.
Chi da sempre prova a muoversi in questa giungla di cifre è lavoce.info, rivista on line che svolge la funzione di cane da guardia della spesa pubblica. L'ultimo contributo è firmato dal professore della Bocconi, Stefano Perotti, e riguarda il confronto tra le retribuzioni dei nostri dirigenti ministeriali e dei loro omologhi britannici. Una comparazione che svela distanze clamorose. Come parametro viene preso soprattutto il ministero delle Politiche agricole che ha una struttura di comando del tutto simile a quella della equivalente struttura londinese. Ebbene se il nostro capo di Gabinetto in questo dicastero guadagna 274mila euro, quello britannico si ferma a 191mila, ovvero il 43% in meno. La media dei nostri 3 direttori di Dipartimento tocca quota 287mila contro i 166mila britannici (+70%). Quella dei 7 direttori generali si attesta a quota 192mila contro i 188mila britannici (+60%). Lo spartito non cambia se si passa ad analizzare gli Esteri. Alla Farnesina il segretario generale guadagna 300mila euro, il 15% in più del suo omologo britannico. Le distanze aumentano di molto se nel mirino si mette il capo di Gabinetto che da noi guadagna 273mila euro, l'80% più del chief operating officer britannico. Agli Esteri vi sono 8 direttori generali, con uno stipendio medio di 250mila euro, il 50% più dei 3 general director. Secondo Perotti «la differenza è ancora più significativa perché il Foreign Office britannico ha un ruolo internazionale enormemente più importante degli Esteri».
L'analisi si sposta poi sul ministero dell'Economia. Qui i 4 direttori generali italiani guadagnano in media 289mila euro, il 90% più dei 4 general director. Gli altri 57 dirigenti di prima fascia guadagnano in media 176mila euro, il 60% più dei 17 director britannici. Infine l'ultimo raffronto riguarda la Salute. Il direttore del dipartimento ha uno stipendio di 293mila euro, il 45% più del permanent secretary britannico. La media dei 14 direttori generali italiani è di 232mila euro, quella dei 5 general director britannici di 164mila, una differenza del 40%. La conclusione di Perotti è difficilmente confutabile: «I dirigenti di vertice italiani sono troppi e iperpagati. Non esiste giustificazione per remunerazioni così alte. Semmai, ci si aspetterebbe l'opposto, per due ragioni. I ministeri britannici competono nell' attrarre talenti con la City di Londra, che ha salari altissimi, mentre non esiste niente di comparabile a Roma; e il costo della vita è molto più alto a Londra che a Roma». Per il professore è arrivato il momento di agire. «La Consulta si opporrà perché ha un evidente conflitto di interessi in materia di stipendi d'oro, e ha già mostrato di usare una logica contorta per bocciare provvedimenti ragionevolissimi. Si dovrà anche smettere di invocare la nozione di diritto acquisito. Qualsiasi cambiamento di legislazione lede diritti acquisiti: se si aumenta l'Imu si svantaggia chi aveva comprato una casa rispetto a un individuo che aveva deciso invece di prendere in affitto».
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