Noi nati negli anni '80 una generazione che non ha vissuto

La crisi si mangia il nostro tempo e ci riporta indietro di trent'anni: il mercato immobiliare è fermo al 1985

Noi nati negli anni '80 una generazione che non ha vissuto

Tutto d'un colpo scopri di essere un bambino. Quattro anni o giù di lì. Anzi no, purtroppo. Tu sei un adulto ma il resto no. Sono nato alla fine del 1981 e mentre io sono cresciuto, ma diciamo pure invecchiato, il Paese è rimasto al palo. In Italia si comprano case come nel 1985, quando avevo quattro anni, e i consumi alimentari sono fermi al 1982, quando avevo pochi mesi. Sono solo due dei tanti dati che in questi ultimi mesi hanno fermato e fotografato la spirale recessiva. Si torna indietro, abbiamo innestato la retromarcia. Quelli nati negli anni Ottanta ci devono fare l'abitudine, figli di un'epoca dalla quale non riescono a salpare. C'è troppa tempesta e il bollettino dei mari, al momento, non fornisce ottime previsioni. Così siamo tutti lì. Fermi al Commodore 64, al Drive In e all'autoradio sotto il braccio. Ci hanno fatto tramontare il futuro ancora prima che sorgesse e noi non abbiamo fatto niente per riprendercelo. Perché se non ci può essere colpa generica e generazionale non può neppure esserci una assoluzione collettiva. Non ci sono i vecchi cattivi e i giovani buoni. C'è chi ha voglia di fare e chi non ne ha, chi ha chiuso la speranza in un cassetto in mezzo alle palline di naftalina e chi, forse con una presa di incoscienza, continua a sperare. Eppure noi siamo cresciuti succhiando il latte di quello che i critici chiamavano edonismo reaganiano. E i desideri che abbiamo sono quelli. Noi condannati dalle statistiche ad avere meno di quelli che ci hanno preceduto. Nel 1985 Craxi era presidente del Consiglio, Pertini passava la mano a Cossiga, i palestinesi sequestravano la nave Achille Lauro, in Giappone nasceva Super Mario Bros e la canzone dell'anno era We are the world. Ecco siamo fermi lì. E se non ci siamo spostati è come se non avessimo vissuto e sorge il legittimo dubbio che il futuro sia un imbroglio. Guai a rinchiudersi nella memorialistica, nel che belli quegli anni, nella mitopoiesi delle musicassette, dei mangianastri e delle sale giochi.

Il mondo continua ad andare avanti e noi dobbiamo prenderci il posto da cocchieri. Ci vuole la forza di scalare l'albero maestro anche mentre la nave sta affondando, per vedere la terra.

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