La nuova tassa sui telefonini rosicchia il bonus di 80 euro

Governo pronto ad aumentare l'equo compenso sull'acquisto di pc e smartphone. Così si annulla lo sgravio Irpef in busta paga con il rischio di affossare i consumi

La nuova tassa sui telefonini rosicchia il bonus di 80 euro

RomaIl decreto sull'Irpef con il bonus da 80 euro mensili arriverà a breve in Gazzetta Ufficiale. Il governo ha confermato il provvedimento che elargisce 640 euro fino a dicembre ai percettori di un reddito annuo lordo inferiore a 24mila euro (il bonus si esaurisce nella fascia 24-26mila euro). La regalia si finanzia con tagli ai ministeri per 240 milioni quest'anno e soprattutto con l'incremento al 26% dell'aliquota sulle rendite finanziarie (inclusi conti correnti e di deposito). Dall'anno prossimo la misura dovrebbe diventare strutturale e il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha già «cifrato» all'uopo 2 miliardi di recupero di evasione in più nel 2015 (per complessivi 15 miliardi). Il premier Matteo Renzi ha inoltre promesso nuove misure per i pensionati, incapienti e lavoratori autonomi. «Giusto e doveroso che lo Stato restituisca soldi», ha detto.

Peccato che, per altri versi, il cittadino sia tartassato. Si avvicina, infatti, il ritocco al rialzo dell'equo compenso, il contributo aggiuntivo su dispositivi come smartphone, tablet e pc per la realizzazione di copie di album musicali e film. La partita complessivamente vale 200 milioni di euro e può comportare un aggravio di oltre 4 euro per il prezzo di telefonini come gli iPhone che già in Italia sono più cari che nel resto d'Europa.

Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ieri ha incontrato tutte le parti sociali (Siae, Confindustria Digitale, sindacati e associazioni dei consumatori) e ha ascoltato le varie posizioni. Come già riferito dal Giornale, i produttori - rappresentati dal presidente dell'associazione di categoria Stefano Parisi - hanno ribadito che non si possono aumentare le tasse in un momento così delicato per il mercato dell'elettronica di consumo.

Dall'altro lato del tavolo la Siae - con il presidente Gino Paoli e il direttore generale Gaetano Blandini - ha ribadito che «non incamera alcuna provvigione sulle tariffe ma si batte per difendere il diritto d'autore contro l'attacco delle potenti multinazionali». Un gergo sessantottino per spiegare che Francia (da 8 a 16 euro) e Germania (36 euro massimi) applicano royalty più alte sulle copie «digitali», mentre l'Italia è ferma a 0,9 euro dal 2009. E, per rafforzare il concetto, Gino Paoli si è fatto accompagnare da grossi calibri del mondo dello spettacolo come Caterina Caselli, Gianmarco Tognazzi e Dodi Battaglia dei Pooh. Oltreché dalla Fimi, l'associazione confindustriale dei discografici. Confindustria appoggiava tutte le parti in causa. Ma anche la Cgil ha sostenuto tanto le ragioni Siae quanto i consumatori.

Franceschini, democristianamente, ha detto che approfondirà la lettura del sondaggio sull'uso dei digital device approntato dal predecessore Massimo Bray e che emanerà comunque il decreto. Ma proprio sul sondaggio si è aperta un'altra querelle: l'ex ministro dalemiano lo aveva commissionato alla società Quorum, la stessa che effettuava sondaggi politico-elettorali per conto dell'esponente Pd. Un conflitto di interessi non da poco perché Bray stava per adottare una soluzione salomonica. Tra gli 0,9 euro attuali di royalty e i 5,2 chiesti dalla Siae, si sarebbe fermato a 3,5 euro.

Ora, secondo i rumors, Franceschini vorrebbe che l'asticella fosse fissata tra 4,5 e i 5,2 euro.

In ogni caso perderanno i cittadini italiani che devono comperare (causa tasse e Iva) dischi carissimi, cellulari carissimi e pagare pure l'equo compenso. Con buona pace di quegli 80 euro mensili in più che Renzi e Padoan stanno per elargire.

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