RomaNon sarà a furor di popolo, per assenza di strumenti costituzionali. Ma alla sesta votazione l'elezione di Giorgio Napolitano come capo dello Stato avviene perlomeno a furor di partiti, con una maggioranza di 738 voti che supera anche i due terzi del plenum dei 1.007 grandi elettori, ovvero quota 672. Un risultato superiore di quasi 130 voti a quello ottenuto nel 2006, quando venne eletto a maggioranza assoluta con 543 voti.
Un verdetto che fotografa in maniera indelebile la storica «prima volta» di una seconda volta. Napolitano, infatti, diventa il primo inquilino del Quirinale a ottenere il bis del suo mandato. Una ambizione carezzata da tutti i presidenti della Repubblica ma mai suffragata dal consenso dei grandi elettori. Invece a Montecitorio, davanti al Parlamento riunito in seduta plenaria insieme ai delegati delle Regioni, Re Giorgio ottiene i voti da Pd, Pdl, Scelta civica e Lega, superando ampiamente quota 504 e dribblando i franchi tiratori democratici che tra giovedì e venerdì avevano silurato prima Franco Marini poi Romano Prodi. Il suo «rivale» Stefano Rodotà, sostenuto da Movimento 5 Stelle e Sel, strappa 217 preferenze, 10 in più del suo bacino potenziale. Segno che la figura del giurista calabrese, con lunga militanza tra Sinistra indipendente e Partito comunista, non è riuscita a fare breccia fino in fondo in un Partito democratico pure dilaniato da dubbi, confusione e dalle pressione interna ed esterna dei grillini. Se nella prima votazione Rodotà aveva ottenuto 240 voti (un exploit se si considerava che il gruppo che lo sosteneva, il M5S, contava 163 grandi elettori) nella seconda era sceso a 230 e nella terza aveva toccato il massimo storico di 250. Poi, alla quarta, con Prodi in campo, Rodotà era sceso vistosamente: 213 voti, cioè 37 in meno della seduta precedente. Alla quinta si è attestato a 210 fino ai 217 finali di ieri. Dieci voti provenienti dalle fila di un Pd che per la prima volta in tutta l'epopea dell'elezione del capo dello Stato ritrova una discreta compattezza e resiste anche alla «mozione Barca», ovvero al tentativo del ministro della Coesione sociale di indirizzare voti verso Rodotà con una dichiarazione pubblica a suo favore.
Chi si tira fuori dal voto e decide di non appoggiare Napolitano - in quanto «propedeutico a un governo di larghe intese contro il quale noi siamo nati», spiega Giorgia Meloni - sono invece i 9 rappresentanti di Fratelli d'Italia, 8 voti dei quali finiscono al «Capitano Ultimo», Sergio De Caprio. Scelta civica vota compattamente e decide di farlo con uno stratagemma simile a quello utilizzato da Sel il giorno prima: scrive infatti un «Napolitano G.» che rende inequivocabile e riconoscibile i propri consensi. Ci sono poi 4 voti per Massimo D'Alema, 2 per Prodi e 24 schede bianche, nulle o disperse.
I grandi elettori seguono lo spoglio in rigoroso silenzio, per far esplodere poi un lunghissimo applauso al raggiungimento del quorum, con tanto di standing ovation. Gli unici a restare seduti sono i grillini che fanno lo stesso al momento della proclamazione, attirando su di loro il coro: «In piedi, piedi». I pentastellati si scuotono solo quando Laura Boldrini annuncia il risultato di 217 voti ottenuti da Rodotà. A quel punto scatta l'applauso a cui si unisce il Pd, oltre ad alcuni esponenti del centrodestra come il leghista Davide Caparini. Alcuni grillini scandiscono in modo ritmato: «Rodotà, Rodotà».
Felici, anzi felicissimi per la rielezione di Napolitano sono, invece, i parlamentari del Pdl che esprimono la loro soddisfazione in aula al momento della proclamazione non solo applaudendo in piedi tra i loro banchi ma anche intonando due volte l'Inno di Mameli. Una iniziativa che parte dallo stesso Silvio Berlusconi a cui non si uniscono quelli del Pd.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.