Economia

Occupati al 59,8%, Italia mai così male dal 2002

Peggio di noi solo Grecia, Croazia e Spagna. Ma Renzi vede "segnali di ripresa"

Occupati al 59,8%, Italia mai così male dal 2002

Roma - Troppe mamme in casa, troppi giovani per la strada, troppi finti studenti universitari, troppe persone che lavorano in nero. Oltre, ovviamente, all'economia che non cresce. Non può spiegarsi diversamente il dato, reso noto ieri dagli uffici statistici dell'Unione europea, che pone l'Italia nel gruppo di coda per il numero di occupati rispetto alla popolazione potenzialmente attiva, quella fra i 20 e i 64 anni. In breve, nel nostro Paese lavorano meno di sei persone su dieci. Il tasso di occupazione 2013, secondo Eurostat, è calato al 59,8%: è la prima volta che questa cifra scende al di sotto del 60% dal lontano 2002. Nel 2012 eravamo al 61%.
Peggio del nostro Paese fanno solo Spagna, Croazia e Grecia. Ma il confronto è impietoso con i Paesi migliori, dove il tasso di occupazione arriva a sfiorare l'80%: in Svezia siamo al 79,8%, in Germania al 77,1%, in Olanda al 76,5%. Anche il Francia, dove il problema della disoccupazione è molto sentito, gli occupati raggiungono comunque il 69,5% della popolazione fra i 20 e i 64 anni. Cipro raggiunge il 67,1% e persino il Portogallo supera il 65%.
La dinamica degli occupati in Europa dal 2002 all'anno scorso mostra andamenti diversi a seconda delle classi d'età. Il tasso di occupazione della popolazione in età da lavoro (20-64 anni) è cresciuto costantemente fino al 2008, ma da quell'anno in poi la crisi finanziaria ha colpito duro e così la media Ue è scesa da oltre il 70% al 68,3% del 2013. Ma il gruppo con età fra i 55 e i 64 anni ha visto un andamento del tutto diverso: una crescita continua del tasso di occupazione, dal 38,1% del 2002 al 50,1% del 2013. È il risultato delle riforme pensionistiche approvate in molti Paesi europei, fra cui l'Italia. E infatti anche il nostro Paese segue la tendenza europea, con un tasso di occupazione che passa dal 28,6% del 2002 al 42,7% dell'anno passato: solo nell'ultimo anno si sono guadagnati 2,3 punti. In Svezia gli ultra cinquantacinquenni occupati superano addirittura il 70%.
Al contrario, diminuiscono gli occupati nella fascia d'età 25-34 anni. Nel 2002 lavoravano nel nostro Paese 6,3 milioni di persona sotto i 34 anni; nel 2013 si erano ridotti a 4,3 milioni. Due milioni di occupati in meno concentrati nella fascia d'età di accesso al mondo del lavoro, una vera catastrofe.
Nonostante questi dati molti negativi, il premier Matteo Renzi sostiene che sul lavoro «abbiamo toccato il fondo, eppure continuo a vedere segnali di ripresa». Ma la falsa partenza dell'economia certificata dall'Istat pochi giorni fa, con un calo del Pil dello 0,1% nel primo trimestre, difficilmente potrà generare nuova occupazione. Il Parlamento ha appena approvato la riforma dei contratti a termine e dell'apprendistato, che rappresentano circa l'80% degli avviamenti al lavoro; e prima o poi affronterà la legge delega che affronta alcuni temi caldi legati al lavoro, come l'articolo 18 sui licenziamenti e la riforma delle tutele (cassa integrazione e così via).
Ma il problema - oltre alla mancata crescita dell'economia e degli investimenti produttivi - resta sempre il costo del lavoro nel nostro Paese, che rimane troppo elevato. Secondo il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, «per rendere più appetibile le assunzioni con contratti a tempo indeterminato, sarà necessario tagliare il costo del lavoro in maniera consistente, almeno del 10%-15%».

E il governo non ha le risorse per provvedere.

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