Offese alla Boldrini, il pm doppiopesista

Palamara indaga sulle foto osé del presidente della Camera, ma archivia gli insulti no global a chi difende i poliziotti

Il presidente della Camera, Laura Boldrini
Il presidente della Camera, Laura Boldrini

C'è diffamazione e diffamazione. Dipende da che parte arriva la denuncia. Se a sentirsi offeso dal web è un comune mortale, che al massimo presiede un'associazione a tutela di poliziotti, allora insulti e minacce sono di fatto «autorizzati». Il discorso cambia se la vittima è un (presunto) simbolo dell'anticasta che dall'alto della sua carica istituzionale si comporta come i politici della Prima Repubblica, scatenando il finimondo alla Camera per una foto di un finta Boldrini nuda su Facebook, pretendendo 7 poliziotti per stanare chi ironizza in rete, licenziando i vertici della sicurezza che non si sono adoperati in fretta, facendo pressioni su ministri e vertici della polizia. Cambia parecchio, la storia, anche se a procedere è lo stesso pubblico ministero, già capo dell'Anm.

Per il pm romano Luca Palamara, la presidente dell'associazione «Prima Difesa», Simona Cenni, non ha infatti motivo di chiedere l'intervento della magistratura per la valanga di offese che le sono rotolate addosso dopo aver difeso due degli agenti coinvolti nella morte di Federico Aldrovandi a Ferrara. La sua denuncia merita di finire in archivio, mentre quella di Laura Boldrini è sfociata in uno spiegamento di forze senza precedenti conclusosi con l'incriminazione per diffamazione aggravata a mezzo stampa di un giornalista. Denuncia che aveva già dato il via a blitz nelle case di chiunque avesse osato condividere l'immagine. Per Palamara, invece, i vari post oggetto della querela presentata dalla Cenni «alla luce del contesto nel quale sono inseriti, appaiono privi di carica offensiva». Secondo il pm, infatti, «in ragione delle caratteristiche della rete, anche i frequenti sconfinamenti dell'area propria del diritto di critica che vi si verificano non si traducono “automaticamente” in altrettante ipotesi di diffamazione ma richiedono uno specifico vaglio della loro valenza diffamatoria che porti a sceverare le critiche che, per le stesse modalità con cui sono formulate, si condannano da sole ad una sostanziale irrilevanza e ad una pratica inoffensività». E allora vagliamole queste critiche «non offensive» postate su Facebook, blog, quotidiani on line:

«Questa Cenni mi fa venire i conati di vomito». «Spero la violentino dei punkabbestia e che dopo facciano divertire anche i cani». E ancora: «Schifosa donna senza pudore», «maiala», «ti auguro ogni male del mondo», «merita le stessa fine, di morire...», «che tu possa non riuscire a portare a termine la gravidanza» e via così, oltre alla diffusione del suo numero di telefono personale. Per Palamara tutto ciò non merita approfondimenti. Del resto, scrive nella richiesta di archiviazione, «il pubblico dei navigatori di internet sa che, a differenza di quanto avviene nei media tradizionali, le notizie e i commenti non sono normalmente frutto dell'attività di professionisti e non sono soggetti ad un regime di controlli interni (...). Il che si traduce in una minore autorevolezza ed in un minore affidamento “preventivo” da parte del pubblico sulla credibilità dei contenuti esposti». Per il gip Cinzia Parasporo, invece, gli approfondimenti servono eccome.

Il gip, su opposizione dell'avvocato Eugenio Pini, ha infatti rigettato la richiesta di archiviazione di Palamara non condividendo l'assunto «dell'assenza di valenza diffamatoria» dei post e intimando alla procura di compiere nuove indagini, anche solo la metà di quelle che la Boldrini ha preteso per sè.

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