
Roma - Un'esenzione dell'Imu un po' più alta di quella in vigore e poi, in ossequio al principio di progressività e a quello - ben più importante per la politica italiana - del tassa e spendi, la patrimoniale. Pier Luigi Bersani è in testa ai sondaggi, ma insegue gli altri candidati premier sul terreno dei ritocchi all'imposta più odiata dagli italiani.
La proposta per un suo eventuale governo è quella già avanzata e non passata con Monti: «Sostenemmo che bisognava alleggerirla per le fasce più deboli, eliminarla per quelli che ora pagano fino a 400-500 euro», ha spiegato. In sostanza si allargherebbe la platea di quelli che sono già esentati dalla prima casa. In compenso introdurrebbe la patrimoniale, su valori degli immobili sopra gli 1,5 milioni. «Sono flessibile ma indicammo un milione e mezzo catastale che significa a mercato 3 milioni e mi pare che sia una cosa francamente accettabile».
Ma le politiche di spesa che la sinistra promuoverebbe potrebbero avere bisogno di altre risorse (ieri il segretario Pd ha nominato gli esodati) e per questo Bersani non ha escluso il ricorso a una nuova manovra in primavera: «Dovremo registrare se le previsioni di crescita sono quelle del governo, se c'è qualche polvere sotto il tappeto», se per esempio, c'è la copertura degli ammortizzatori.
Sull'articolo 18 Bersani ha detto che l'equilibrio trovato con la riforma Fornero va bene. Quindi niente appoggio al referendum di Rifondazione comunista, Sel e Italia dei valori. Ma, per il resto, la posizione del Pd su questi temi è la stessa della sinistra estrema e della Cgil.
A farlo emergere è stato proprio il referendum depositato mercoledì. Un milione di firme che, sul lato pratico, non serviranno a molto (il referendum non si potrà tenere perché ci sono le politiche) su due argomenti tecnici quali sono l'abrogazione dell'articolo otto della manovra estiva del governo Berlusconi (quello che dà la possibilità a sindacati e aziende di fare accordi aziendali che superano i contratti nazionali e, in alcuni casi, anche la legge) e di parte della riforma Fornero, quella che modifica l'articolo 18. Nel giorno del deposito delle firme il Pd non ha commentato. Silenzio anche da Stefano Fassina che, insieme con Cesare Damiano, in un primo momento, avevano cercato di fare desistere i partiti della sinistra estrema dal ricorso al referendum.
Ma l'aria che tira a sinistra è di ripagare l'ala estrema con un'altra moneta, promettendo l'abrogazione della norma voluta dall'ex ministro Maurizio Sacconi, che due giorni fa ha assunto la presidenza del comitato per il no ai referendum. Lo ha detto chiaramente, poco tempo fa, proprio il responsabile economico del Pd Fassina. L'articolo 8 di Sacconi «andrebbe cancellato».
Abrogazione anche per l'ex ministro Damiano: «Sono contrario al referendum per vari motivi». Cioè la memoria di quello sulla scala mobile e l'impossibilità a portare il quesito alle urne per la coincidenza con le politiche. E poi perché sull'articolo 18 «abbiamo sconfitto la posizione di Monti e di Fornero che pretendevano il semplice risarcimento a fronte di un licenziamento per motivi economici». Ma sull'articolo 8, conferma, «sono per la sua cancellazione».
Il comitato per il no guidato da Sacconi, nato attorno all'associazione amici di Marco Biagi, si è fatto carico di difendere il principio della contrattazione. La legge «non impone un modello», ma lascia libere le parti.