Indebitate causa Imu. Strette nella tagliola recessiva che ha segato i ricavi e prosciugato gli ordini, l'anno scorso le imprese italiane hanno dovuto scendere ancor più in trincea per difendersi dal balzello sugli immobili escogitato dal governo Monti. Come? Nel solo modo possibile, se non è possibile salvarsi in corner con l'autofinanziamento. Senza risorse proprie, senza un tesoretto personale cui attingere, resta una sola opzione: chiedere aiuto alle banche. Magari ipotecando un impianto, oppure dando in garanzia una casa di proprietà.
Che l'imposta più odiata dagli italiani abbia avuto l'effetto di un vero e proprio maglio sugli imprenditori lo si capisce fin troppo bene dalla cifra versata al fisco: 6,3 miliardi di euro. Ma rispettare le scadenze imposte dal Professore e dal suo team di tecnici non è stato per nulla facile. Soprattutto per le micro, piccole e medie imprese, spesso quelle con le spalle meno robuste per reggere l'urto di una crisi complicata e in continua mutazione. Dall'incrocio dei risultati di un sondaggio del Centro studi Unimpresa con i dati del dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia, esce una cifra che dà l'esatta misura del modo e delle difficoltà con cui le aziende sono riuscite a far fronte ai versamenti necessari: sul totale di 6,3 miliardi pro Imu, quasi 4 miliardi di euro (3,96 miliardi) sono stati pagati facendo ricorso a prestiti. E sempre secondo l'indagine del Centro studi Unimpresa, condotta fra i 130mila associati sulla base dei dati raccolti al 31 dicembre 2012, tre aziende su cinque (quasi 82mila Pmi) hanno chiesto soccorso agli istituti per evitare di finire nella lista nera di Equitalia.
Nella sostanza, oggi l'Italia si ritrova con un tessuto produttivo più indebitato non a causa di quella naturale logica imprenditoriale per cui si investe sul futuro acquistando nuovi impianti o dando impulso alla ricerca. Oggi i debiti si fanno per troppe tasse. D'altra parte, non c'è solo l'Imu a turbare i sonni soprattutto dei proprietari di alberghi (quelli maggiormente presi di mira dal balzello immobiliare), o di chi possiede un capannone o le grandi superfici dei supermercati: bisogna fare i conti anche con l'Irap, l'imposta regionale sulle attività produttive che non guarda in faccia ai bilanci: va infatti pagata anche quando l'attività è in perdita.
Il risultato? «Tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende - spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi - il primo è l'apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell'attività di impresa». Aggiunge Longobardi: «Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei prestiti fiscali va decurtato in proporzione al valore dell'ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio».
Il terzo guaio è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l'impresa deve affrontare due ordini di problemi: «meno garanzie - sottolinea il numero uno di Unimpresa - da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi d'interesse».
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