Ora il Pdl avverte il governo: sul lavoro no ai diktat del Pd

Il partito fra riforme e rilancio. La strategia è indurre Monti a scelte radicali: sbagliato rinunciare al decreto. Santanché: 50% dei candidati presi dalla società civile

Ora il Pdl avverte il governo:  sul lavoro no ai diktat del Pd

Roma - Il Pdl cerca di rendere Monti il più in­digesto possibile a Bersani. Soprattutto sul­la riforma del lavoro, bestia nera di Pd e sin­dacati. A fronte dell’esigenza di chiudere in fretta una riforma strutturale, il premier ha bisogno di aiuto. E il Pdl è intenzionato a darglielo, graffiando la sinistra. Ricorda a Monti di aver sbagliato a non scegliere il de­cre­to per non dispiacere ai sindacati ma av­verte, con Cicchitto: «Qualche risultato è stato ottenuto al Senato e qualche altro con­tiamo di raggiungerlo alla Camera dove è appena iniziato il lavoro in Commissione». Insomma, conviene fare in modo che sia Monti a fare il lavoro sporco e antipopolare, così come fattosulle pensioni.Il Pdl è l’uni­ca riforma che ha realmente apprezzato ­tolto il pasticcio degli esodati- e ora auspica che il premier torni ad agire come ha agito agli esordi del suo mandato. Sul lavoro ieri era tutto uno schiumare rabbia perché, agli occhi dei pidiellini, Monti è stato don Ab­bondio. «Adesso piange e chiede il nostro appoggio solerte - dice un deputato - ma perché non ha avuto il fegato di agire per de­creto, restando impantanato nei diktat del­le Camusso?».

Eccola la tattica pidiellina: spingere Mon­ti a esser più radicale nelle sue scelte, non guardando in faccia ai mal di pancia del Pd. Così, a fronte di una richiesta del presiden­te della Camera Fini a trovare presto un ac­cordo e licenziare le nuove norme sul lavo­ro, il Pdl risponde picche: «Alla Camera va­luteremo, senza diktat», avverte Gasparri. Lavoro e spesa pubblica: ecco quello che in­teressa al Pdl. Anche sulla spending review i berluscones infatti pressano: avanti con i ta­gli al pubblico impiego senza troppe timi­dezze nei confronti dei sindacati e di Bersa­ni. Il pidiellino Roberto Rosso mette il dito nella piaga: «Bisogna fare un taglio serio: sfoltire il sovrannumero degli impiegati del­la pubblica amministrazione non del 5 ma dal 20 per cento in su. Il toro va preso per le corna».

Ormai la strategia è quasi obbligata. Mol­to difficile se non impraticabile affossare il governo, ad Alfano non resta che trascinar­lo il più possibile dalla propria parte. «Le condizioni internazionali non consentono lo stacco della spina - è il ragionamento di via dell’Umiltà - se proprio l’avviso di sfrat­to deve essere recapitato ai tecnici, sia il Pd a consegnarlo al Professore, non noi». Pa­gandone le conseguenze politiche. Il Pd po­trebbe farlo, se spinto dal desiderio di anda­re alle urne prima ch­e l’emorragia provoca­ta dalla sinistra radicale e dai grillini renda­no del tutto anemico il partito di Bersani. Ma che sia il Pdl ad accelerare la crisi di go­verno oggi, resta l’opzione minoritaria.

Le elezioni anticipate infatti non garanti­rebbero la vittoria neppure se si andasse al voto con questa legge elettorale e se- ipote­si del tutto accademica- si riuscisse a strin­gere delle alleanze con le altre forze mode­rate. Casini continua ad avanzare pregiudi­ziali legate a Berlusconi; e pure Monteze­molo resta scettico al «matrimonio con que­sto Pdl». Il presidente della Ferrari pone troppe condizioni, tra cui quella di un tota­le ricambio della classe dirigente del parti­to che è più facile a dirsi che a farsi. Se, quin­di, il partito di Alfano non fa un «giro in lava­trice », Montezemolo correrà da solo, a pre­scindere dalla legge elettorale. In ogni caso continua il dibattitointerno, con l’ex sotto­segretario Santanchè che lancia una propo­sta a Berlusconi, Alfano e ai coordinatori: «Il 50% delle liste elettorali del Pdl sia riser­vato a persone della società civile». Insom­ma, meglio agire di pungolo, piuttosto che strappare.

A questo proposito, già si prean­nuncia un’intesa Pdl-Pd per dare un man­dato forte al premier in vista del Consiglio europeo del 28/29 giugno. La «strana» mag­gioranza agirà a tenaglia sul Professore e, at­traverso una o più mozioni parlamentari durissime, gli imporrà di alzare la voce nei confronti della riottosa Merkel.

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