Chiacchiere. Belle parole sulla modernizzazione del Paese che esiste solo nei titoli dei giornali. Annunci di un domani che resta sempre confinato nelle brume del futuro. La mobilità da un ufficio all'altro della pubblica amministrazione rappresenta sempre l'eccezione dell'eccezione e riguarda solo un'esigua minoranza dei dipendenti: lo 0,1 per cento del totale. Un manipolo di poche centinaia di travet. Punto e fine. Il quadro è catastrofico. Per carità, c'è una norma, varata nell'ormai lontano 2001, che fissava nuovi criteri e proponeva scenari suggestivi, in linea con un mondo che cambia, va di fretta e non sopporta più il posto fisso, nemmeno quando paga Pantalone. Anche la macchina dello Stato, nel suo complesso, veniva sollecitata a voltare pagina. A ridistribuire le proprie energie. A razionalizzare le proprie forze. A rivedere le piante organiche, talvolta elaborate più con il bilancino del clientelismo e dell'assistenzialismo che non secondo logica imprenditoriale. Si metteva sul tappeto l'annoso problema degli esuberi e si indicava la strada per superarlo.
Sono passati 11 anni e ora scopriamo che siamo sempre al punto di prima. Tradotto, i travet sono pigri e incollati alle loro sedie. Altro che spostamenti e mentalità più giovane e dinamica. La flessibilità va bene per i convegni e le analisi sociologiche. La realtà è impietosa e a certificarla non sono le pennellate di qualche reportage, ma l'Aran, ovvero l'Agenzia per la contrattazione della pubblica amministrazione.
I dati, aggiornati al 2010, sono sconfortanti. I traslochi da un comparto all'altro hanno toccato appunto lo 0,1 per cento delle mezzemaniche. Come dire, una puntura di spillo su un corpo di elefante. Ovvero, la stratosferica cifra di 1.840 persone in entrata e 2.273 in uscita. Il rinnovamento, almeno per ora, è scritto sulla sabbia. Se vogliamo allargare il discorso alla mobilità intracomparto, termine tecnico che indica il passaggio da un ufficio all'altro ma pur sempre dentro il nido protettivo dello stesso settore, allora scopriamo che le cose vanno un po', solo un po' meglio: siamo a quota 33.944, ovvero all'1 per cento.
Parafrasando e capovolgendo De Gaulle, si può sostenere non solo che l'intendenza non seguirà, ma che se ne sta arroccata nei propri privilegi, nelle proprie abitudini, nella propria routine. Il coraggio di cambiare, di sperimentare, di mettersi alla prova non c'è, ma forse manca pure l'offerta: non ci sono stimoli ad intraprendere un percorso fuori dal solito orticello, non ci sono incentivi, non ci sono ricerche mirate. Di fatto, la pubblica amministrazione continua ad essere un dinosauro, indifferente al mondo che cambia. Per dirla con l'Aran si registra «la sostanziale impermeabilità dei dipendenti fra i vari comparti».
Chi sfugge a questo corso desolante è solo la presidenza del Consiglio che offre flussi più vivi, sostanziosi, non i fiumi in secca degli altri mondi del pubblico. Ma c'è una spiegazione semplice e convincente del fenomeno: dalle parti di Palazzo Chigi gli stipendi sono mediamente più alti e questo naturalmente mette in moto le energie e le capacità di chi cerca di entrare in questa cittadella, sfidando il tran tran della normalità. In ogni caso, lo Stato ha fatto poco o nulla, se dobbiamo credere a questi numeri, per riequilibrare una macchina che funzionava e funziona male. Con uffici troppo affollati e altri ridotti all'osso. La struttura profonda pare irriformabile e il nocciolo duro dei lavoratori refrattario ad una svolta sbandierata chissà quante volte e mai portata a termine.
È difficile non vedere - spiega l'Aran nel suo ultimo rapporto - il completamento professionale che si potrebbe ottenere se a un'esperienza lavorativa in un'amministrazione locale seguisse, ad esempio, quella in un'amministrazione centrale e viceversa. Purtroppo l'evidenza statistica nega decisamente che questa sia una pratica di qualche diffusione nel pubblico impiego nel nostro Paese».
Certo, sulla carta oggi il personale è meno tutelato e può perfino
essere licenziato. Di fatto non si sposta nemmeno di un centimetro.Abbarbicato ad una realtà ormai insostenibile.
Chissà che la spending review, con Monti che agita le forbici, non dia finalmente la scossa al sistema.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.