Orsoni e Galan al contrattacco Nuove ombre sulla Finanza

Il sindaco di Venezia: "Dalle mie tasche non è passato un centesimo". E l'ex governatore: "Misfatti commessi da altri, non mi farò distruggere"

Orsoni e Galan al contrattacco Nuove ombre sulla Finanza

Prova a uscire dal gorgo Giorgio Orsoni. Il sindaco di Venezia viene interrogato dal gip e tira fuori le unghie: «Sono un uomo prestato alla politica che non può minimamente fare azioni del genere». I giornali descrivono i benefit sfacciati di cui disponevano gli amici della cricca. Viaggi, hotel supertsellati, assunzioni di parenti e poi, naturalmente, stipendi - chiamiamoli così - che una persona normale può vedere solo al cinema. Ma Orsoni è inchiodato da un'accusa relativamente meno grave, anche se insidiosa: il finanziamento illecito. Con due episodi: un primo contributo da 110 mila euro e un secondo da 450mila, con 50mila in contanti procurati da Piergiorgio Baita del Consorzio Venezia Nuova.

Ecco, questo è il punto imbarazzante: i contributi erano mascherati. Formalmente arrivavano dalle imprese, in realtà uscivano con il collaudato meccanismo delle false fatturazioni dalla solita bocca delle tangenti: il Consorzio Venezia Nuova di Giovanni Mazzacurati, il grande burattinaio delle mazzette, padre fra l'altro del compianto regista Carlo. Insomma, secondo la procura Orsoni battè cassa al bancomat di Mazzacurati ma cercò di nascondere l'origine dei soldi, facendoli transitare per una serie di aziende. Quel peccato originale rischia di minare la carriera del primo cittadino del Pd e lui cerca di lavare la macchia: «Sono assolutamente sereno ed tranquillo, perché non è passato un solo centesimo nelle mie mani e nelle mie tasche». Si vedrà. Orsoni gioca le sue carte, i consiglieri del Movimento 5 stelle annunciano una mozione per chiedere le sue dimissioni e lo scioglimento del consiglio comunale. «Indipendentemente dal percorso giudiziario - spiega Gianluigi Placella - come cittadini non possiamo chiudere gli occhi».

Difficile immaginare un futuro per la giunta di sinistra che regna in laguna. Gli inquisiti tentano comunque di mettere un argine al diluvio dei capi d'accusa. «Non mi farò distruggere - afferma Giancarlo Galan che ha schivato l'arresto solo perché senatore - per misfatti commessi da altri. Stanno cercando di scaricare su di me nefandezze altrui».

Dopo il clamore iniziale, cominciano gli interrogatori e si mettono a punto le diverse linee difensive. Il colpo alle istituzioni, però, è tremendo. Sono in tanti fra Venezia e Roma a doversi guardare allo specchio. Così, dopo aver scoperto che un magistrato contabile, Vittorio Giuseppone, era addirittura a libro paga dell'onnipresente Mazzacurati, la Corte dei conti corre ai ripari e istituisce una commissione d'inchiesta. Il presidente Raffaele Squitieri spiega che l'obiettivo «è l'accertamento di tutte le procedure di controllo effettuate negli anni». Insomma, è imbarazzante dover constatare che un magistrato prendeva centinaia di migliaia di euro, «non meno di seicentomila» solo fra il 2005 e il 2006, per accelerare la registrazione delle pratiche.

E si resta altrettanto basiti nel leggere che un generale di corpo d'armata, Emilio Spaziante, si vedeva promettere da Mazzacurati 2,5 milioni di euro per ammorbidire i controlli fiscali. Anche le Fiamme gialle, dunque, sono in difficoltà. E gli scricchiolii non finiscono qua: altri due generali, molto legati a Spaziante, sono stati perquisiti anche se non sono indagati. Si tratta di Mario Forchetti, oggi in pensione e dalla primavera del 2013 alla guida del Comitato lombardo sulla trasparenza e la sicurezza dei cantieri, ovvero l'organismo voluto da Roberto Maroni per vigilare sugli appalti dell'Expo 2015; e poi, di bufera in bufera, di Walter Manzon, comandante della Guardia di finanza di Venezia fino a tre anni fa e ora al vertice del corpo in Puglia. Il quadro, fra prove e sospetti, è impressionante. Con i militari costretti ad indagare sui loro superiori. «C'è il coinvolgimento pesantissimo del sistema di controllo», riassume Raffaele Cantone, il commissario anticorruzione che corre da un'emergenza all'altra. «Ma non ha senso - spiega l'ex pm - che me ne occupi io.

Non è che ogni criticità necessiti di un commissario. Sull'Expo può avere un senso perché ci sono termini stretti, sul Mose mi pare di no». Il ministro Andrea Orlando dà per «imminente» l'ampliamento dei poteri del commissario. Appena insediato e già ammaccato.

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