Padoan "rottamatore" pronto a far fuori i top manager di Stato

Il ministro: via dai vertici delle società pubbliche chi è sotto processo. Un chiaro invito a Scaroni (Eni) e Conti (Enel) a togliere il disturbo

Padoan "rottamatore" pronto a far fuori i top manager di Stato

Roma - «Prima si decide la missione, la strategia, subito dopo si decidono i nomi che sono consequentia rerum». Il premier Matteo Renzi ha cercato di buttarla sul filosofico, ma in realtà la partita delle nomine nelle aziende partecipate dal Tesoro è tutt'altro che una questione nominalistica. In realtà, l'inquilino di Palazzo Chigi vuole «rottamare» i manager che da anni siedono sulle poltrone di Eni, Enel, Terna, Poste e Finmeccanica. Senza tanti complimenti.
E per arrivare all'obiettivo non ci sono mezze misure. Lo dimostra la lettera inviata dal ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, (e da Cdp per le sue controllate) ai consigli di amministrazione delle società partecipate quotate in Borsa (Eni, Enel, Finmeccanica e Terna). La richiesta è l'introduzione nello statuto di «un'apposita clausola in materia di requisiti di onorabilità». La missiva indica tra le cause di ineleggibilità «l'emissione del decreto che disponga il giudizio», cioè l'avvio di un processo per una serie minuziosa di tipologie di reato. Nell'elenco figurano, infatti, i delitti contro la pubblica amministrazione, i reati tributari e fallimentari e i delitti introdotti dalle norme sull'attività bancaria, finanziaria ed assicurativa. Sanzionabile (ovviamente) anche il traffico di stupefacenti. Si tratta di una stretta molto più rigorosa rispetto al codice di autodisciplina delle società quotate che prevede la possibilità di decadenza in seguito a una condanna: l'imputato generalmente si autosospende e l'assemblea gli rinnova fiducia.
È un chiaro invito all'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, e al suo collega di Enel, Fulvio Conti, a togliere il disturbo. I due manager sono stati infatti rinviati a giudizio per disastro ambientale per la centrale Enel di Porto Tolle (Scaroni è ex ad dell'azienda elettrica). Analogamente, il numero uno di Eni è indagato dalla Procura di Milano per l'ipotesi di corruzione internazionale per la vicenda Saipem-Algeria. Insomma, un modo come un altro per sottolineare come anche la magistratura possa tornare utile per gli scopi del governo, indipendentemente dai risultati e dai dividendi staccati dalle singole imprese.
Eppure, non tutte le ciambelle riescono col buco. L'accanimento sul taglio dei compensi dei dirigenti del quale la scorsa settimana ha fatto le spese l'amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti, potrebbe rivelarsi fine a se stesso. Il ministero dell'Economia ieri in un comunicato ha ricordato le direttive del dl spending review del 2012 che fissa a 311mila euro il compenso massimo dei manager pubblici, pari a quello del primo presidente della Cassazione. La legge, però, esclude i vertici di Eni, Enel, Finmeccanica e Terna oltre a quelli degli emittenti di obbligazioni come Poste, Ferrovie e Cdp. Per queste ultime viene disposto un taglio dei compensi del 25 per cento. Ad esempio, gli 873mila euro di Moretti dovrebbero diventare 654.750 euro. Altro che i 248mila euro del presidente della Repubblica! E sulle quotate il Tesoro (che è azionista di minoranza avendo al massimo il 30% di ognuna) ha messo le mani avanti: le proposte in assemblea potrebbero essere respinte.
Resta, comunque, una sensazione poco gradevole: quella di uno spoil system praticato con altri mezzi su società fondamentali per l'economia italiana.

Per la successione di Scaroni e di Conti circolano anche nomi interni a Eni (De Scalzi e l'ex Cao) ed Enel (Starace). Un posto al sole negli altri gruppi potrebbero guadagnarlo grandi manager come Francesco Caio o Mario Greco che piace al premier e che in Generali sta lavorando bene. Anche troppo.

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