Cambiano gli sport estremi: meglio la città della natura

L'Everest? Troppo affollato. Dal parkour al base jumping, le attività da brivido "urbane" hanno un'attrattiva in più: la trasgressione

Cambiano gli sport estremi: meglio la città della natura

Un tempo certe imprese erano per pochi. Personaggi fuori dal comune, mitici, quasi eroici. Di Patrick de Gayardon, per dire, ce n'è uno solo. Ma oggi lo slogan è «impossibile is nothing»: tutti possono fare tutto, anche scalare l'Everest. Non a caso le vie che portano al tetto del mondo sono sempre più invase da alpinisti professionisti come da arrampicatori della domenica. Carovane e cordate ovunque, neanche fosse Rimini a Ferragosto, e più di una volta il sovraffollamento ha provocato risse in alta quota o costretto qualcuno a interrompere la spedizione.
Sarà per questo che, adesso, gli amanti dello sport estremi hanno deciso di trasferirsi. Dove? In città. Perché non è detto che il brivido si possa assaporare solo immersi nella natura.
Lo ha dimostrato Maurizio Di Palma, il 35enne che otto giorni fa, all'alba, si è lanciato dalle guglie del Duomo di Milano, atterrando in piazza con il paracadute (e fuggendo subito). Lo sport in questione si chiama base jumping: si pratica da alture di montagna, ma anche da ponti o edifici.
C'è chi sale in alto per volare nel vuoto e chi per il puro gusto di arrivare in vetta. Come Alain Robert, icona mondiale dell'urban climbing: si è arrampicato su centinaia di grattacieli, molti dei quali tra i più imponenti costruiti dall'uomo, guadagnandosi il soprannome di «Spiderman». E pagandolo caro, anche: arrestato in decine di occasioni, per due volte è precipitato da 15 metri di altezza, senza protezione, procurandosi fratture in tutto il corpo, cranio compreso. La scalata sui palazzi piace a molti: c'è chi la usa per lanciare messaggi - come hanno fatto ieri, in diretta web dallo Shard di Renzo Piano a Londra, sei attiviste di Greenpeace per protestare contro le trivellazioni petrolifere nell'Artico - e chi la pratica come vera disciplina sportiva, usando materassi per attutire le cadute o corde di protezione. Tornando con i piedi per terra, ma non troppo, troviamo il re degli sport selvaggi ma metropolitani: il parkour, ovvero correre in città scavalcando gli ostacoli dell'arredo urbano con salti acrobatici e capriole sinuose. Temerario anche chi che pratica lo streetluge, che consiste nel lanciarsi su strade in pendenza su piccoli slittini a rotelle.
Poi ci sono le bravate estreme, come il balconing: ha conosciuto un boom nell'estate del 2010, quando sei turisti sono morti nel tentativo di tuffarsi in piscina direttamente dal balcone dell'albergo. Altri 11 rimasero feriti allo stesso modo. La folle pratica, spesso realizzata sotto l'effetto di alcol o droghe, prevedeva anche filmati video da caricare su Youtube. «È un modo di estremizzare i comportamenti per farsi notare e uscire dall'anonimato», spiega Raffaele Sibilio, docente di Sociologia all'Università Federico II di Napoli.

«Siamo passati da un'epoca, quella degli anni '70 e '80, in cui tutto ciò che si faceva doveva restare nell'anonimato, coperto dal “gruppo“, a quella attuale, in cui prevale l'individualismo: il punto oggi è sentirsi protagonisti, farsi riconoscere».


di Giuliana De Vivo

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