Il programma economico di Enrico Letta era in larga parte generico e, in concreto, molto modesto e inidoneo a combattere i problemi della crescente disoccupazione e della insoddisfacente ripresa della crescita. Ma era un meno peggio, rispetto a quello di Matteo Renzi, che sembra sognare a occhi aperti. Fin che si tratta di scrivere libri in cui si promettono mari e monti è affar loro. Ma qui si tratta del programma del nuovo governo. E i costi delle sue promesse e delle sue fughe in avanti rischiamo di doverli pagare noi. Sento odore di una nuova patrimoniale, dopo quella attuata, con il passaggio dall'Ici all'Imu che ha comportato un aumento della tassazione ordinaria degli immobili da 9 miliardi a 24 miliardi, di cui 4 circa per la prima casa, ora sostituita dalla Tasi che ne prenderà almeno 5, più 11 sul resto degli immobili. Renzi sostiene che lui finanzierà un'ampia riduzione del «cuneo fiscale» su lavoro e imprese mediante la riduzione della spesa pubblica in una misura molto superiore a quella prevista da Letta, calcolata in 12 miliardi in tre anni, taglio da attuare dal commissario Carlo Cottarelli, noto esperto fiscale del Fmi. Renzi non dice come farà a tagliare più spese di quelle previste nella spending review non ancora decollata. Non solo Renzi non dice quali spese lui pensa di potere ridurre, ma fa capire che non intende metter mano alle spese sociali, che tutelano le persone in difficoltà. Renzi si allarga a proposte populiste, che in realtà aumentano le spese, come un'indennità di disoccupazione generalizzata, un reddito minimo garantito, che dovrebbero servire a 4 milioni di persone, che adesso non ne usufruiscono.
È molto curioso un programma che nel paragrafo iniziale contiene la recisa affermazione che il taglio previsto dalla commissione Cottarelli non basta e in uno di quelli finali invece preveda un aumento di spesa, con una misura che si presta a fomentare il lavoro nero e l'economia sommersa. Il programma di Renzi, almeno in apparenza, largheggia nelle riduzioni fiscali, che vanno sotto l'etichetta di cuneo tributario, senza indicare le cifre. Ma Renzi non adotta la linea della produttività. Imbocca la via redistributiva, sostenendo che la priorità va rivolta alla riduzione dell'Irpef per i redditi più bassi. Ora il problema della nostra competitività sta nell'eccesso di tassazione dei costi di produzione, in particolare con l'Irap sui costi del lavoro, che stimola a portare all'estero le produzioni ad alto valore aggiunto come i servizi direzionali, quelli di progettazione e ricerca, quelli di design, ad alta intensità di lavoro qualificato. Nel programma di Renzi c'è il buio pesto, sul problema della bassa produttività. Non fa alcun cenno sui contratti aziendali flessibili che Fiat Chrysler adotta non solo in Polonia, ma anche a Detroit e che da poco tempo sono applicati in Spagna, dove si sta spostando una parte delle industrie dell'auto. È alla produttività che si dovrebbe indirizzare, in modo particolare, la riduzione del cuneo fiscale, per stimolare la crescita economica. In effetti Renzi simpatizza per il leader Fiom Landini che osteggia tali contratti, forse perché ha bisogno di consensi elettorali a sinistra. In queste impostazioni c'è molta utopia e molto populismo. Alla fine per far quadrare i conti, è possibile che rispunti la patrimoniale.
Mediante la Tasi sugli immobili, per cui si è battuto il ministro Delrio, consulente di Renzi, che nel nuovo governo dovrebbe avere un maggior ruolo, e mediante un aumento della tassazione delle rendite finanziarie. O con tributi mascherati con nomi impropri, come il contributo di solidarietà a carico delle pensioni maggiori. All'aumento delle tasse da parte del Pd non c'è mai fine.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.