S i discute della ricca poltrona di presidente dell'Inps, ma non della bomba sotto questa poltrona, ossia la situazione economica dell'Inps. È un colosso che, nella gestione finanziaria del 2103, ha 404 miliardi di uscite, circa il 25% del Pil e 394 miliardi di entrate con un deficit di 10 miliardi. Un buco che comporta (...)
(...) un'erosione della situazione patrimoniale netta, che da 25 miliardi a fine 2012 diventa di 15 a fine 2013. Un altro anno così e il patrimonio sarà solo di 5 miliardi. Nel 2015, così continuando, il patrimonio netto dell'Inps diventa negativo per 5 miliardi.
Certo, la gestione finanziaria ha molte partite contabili che la fanno differire da quella di cassa, nuda e cruda. Ma questa non è migliore di quella finanziaria, semmai peggiore, perché le entrate effettive per contributi e altri introiti sono 275 miliardi e le uscite 385,6, con un deficit di 110,5, ossia il 9,5% del Pil. Non intendo terrorizzare il lettore. Perciò chiarisco che lo stato eroga all'Inps 92 miliardi, per prestazioni assistenziali e a invalidi civili di sua competenza, che sono coperti dal sistema tributario a carico del contribuente statale. Resta un saldo negativo di 18 miliardi, che lo stato copre con anticipazioni all'Inps. Questa è la cassa. Se si guarda alla gestione di contabilità economica dell'Inps, si torna a 10 miliardi circa di deficit fra crediti e debiti nati nell'esercizio: i 10 che vanno a diminuire il patrimonio.
Certo, la crisi ha peggiorato le cose. Le spese aumentano, mentre le entrate contributive risentono del calo occupazionale. Ma ci sono anche altri problemi, fra cui due nuovi di zecca del 2012 che il governo Monti ha scaricato sull'Inps. Due patacche finanziarie e anche politiche che costituiscono le mine vaganti che bisognerebbe disinnescare. Si chiamano ex Inpdap ed esodati. Il governo Monti ha avuto la brillante idea di dare all'Inps già sovraccarico di casse integrazioni ordinarie e in deroga, che dilatavano la sua spesa, anche l'ente previdenziale dei dipendenti pubblici, l'Inpdap, il cui bilancio è in deficit, perché il pubblico impiego è stato sfoltito con prepensionamenti, che riducono la spesa per personale, ma aumentano quella per pensioni, anche se di meno e riducono l'introito per contributi previdenziali. Il deficit dell'ex Inpdap nasce da lì e non è facile tapparlo, se non si modificano le leggi e la prassi attuale, per cui in cambio dei pensionati pubblici si mettono in ruolo i precari della pubblica amministrazione.
C'è, per l'Inps, un'altra mina vagante, di portata ancora maggiore: il bubbone degli «esodati». Si tratta di lavoratori che hanno patteggiato il prepensionamento, con una buona uscita «ponte» che - con le regole vigenti prima della riforma delle pensioni del governo Monti - consentiva di arrivare alla età per la pensione senza oneri aggiuntivi. Elsa Fornero, ministro del lavoro del governo Monti aveva calcolati gli esodati nel limbo in 65mila. L'Inps, rifatti i calcoli, inizialmente li ha stimati in 319mila. Ora si sostiene siano circa 350mila. È però difficile stabilire chi ha realmente patteggiato l'esodo prima della riforma che ha elevato l'età pensionabile. E il governo Monti non aveva pensato di sterilizzare i prepensionamenti in corso mentre varava il decreto sulle pensioni: forse non voleva toccare gli esodandi, che riguardavano settori come le banche, la scuola, le poste ove questi patti erano molto popolari. Dopo i primi 65mila esodati, ne sono stati salvati altri 65mila e a sgoccioli, un po' di altri. Da ultimo, con emendamenti nella legge di stabilità, altri 17mila, consentendo ai sindacati e ai politici che hanno promosso le operazioni di farsi dei meriti. Ciò aumenta le pensioni sia Inps che ex Inpdap.
Molti contributi previdenziali, inoltre, non vengono riscossi. C'è il lavoro nero e le imprese, soffocate da contributi altissimi, sono spinte a evadere. Alcune gestioni Inps ex autonome sono in deficit: con il rischio di aumenti dei contributi dei loro iscritti.
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