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Pd in allarme: Letta e gli ex Pdl rifanno la Democrazia cristiana

Il premier vuole durare fino al 2015: è già panico a sinistra e tra i renziani. Ma il sindaco si piega al patto "a me il governo, a te il partito" e giura lealtà

Pd in allarme: Letta e gli ex Pdl rifanno la Democrazia cristiana

L'indizio più chiaro sulla portata della posta che si gioca oggi, con il voto di fiducia prima al Senato e poi alla Camera, lo dà la confidenza fatta dal pidiellino di Cl Maurizio Lupi, ministro dimissionario, al collega che gli chiedeva che futuro potesse avere la scissione pro-Letta: «Enrico ci ha detto molto chiaramente che se il suo governo dura, di qui al 2015 possiamo far nascere tutti insieme, con lui, Franceschini e gli altri, un nuovo soggetto politico, oltre il Pdl e anche oltre il Pd».
Nel Pd la preoccupazione che questo sia l'obiettivo cui lavora il premier c'è, soprattutto in casa renziana: «Anche perché ci è chiaro - dice un supporter del sindaco - che se nel Pdl si concretizza una significativa scissione centrista, questo esecutivo cercherà di durare ben oltre il 2015, e di realizzare una riforma istituzionale ed elettorale che agevoli la nascita di una nuova Dc». Una legge elettorale come quella che il lettiano Francesco Boccia illustrava ieri come «l'unica che si può fare anche domani, e che avrebbe i numeri: introduzione delle preferenze e soglia al 40% per il premio di maggioranza». Una soglia che nessuna forza politica può oggi sperare di sfondare, e che renderebbe di fatto il sistema proporzionale. Col rischio che, come riconosceva ieri lo stesso Guglielmo Epifani parlando con dei compagni di partito, «costringerebbe noi del Pd a ridisegnarci come partito della sinistra socialdemocratica, archiviando il bipolarismo».
Intanto, però, bisogna che i numeri per la fiducia oggi ci siano, e che siano abbastanza significativi da fugare ogni idea di «governicchio» appeso ai transfughi. Nei suoi colloqui con i dirigenti Pd, Matteo Renzi incluso, Enrico Letta ha mostrato grande sicurezza. E al sindaco di Firenze ha chiesto garanzie di appoggio: «Io vado avanti col governo, tu diventi segretario e poi si vede». Renzi vede i rischi di un calendario che confligge con il suo (le elezioni a primavera), e di un progetto politico che potrebbe svuotare di senso il Pd stesso, ma per ora può solo mordere il freno e chiedere «un governo solido che faccia prevalere l'interesse del Paese».
Un segnale di certezze meno granitiche sui numeri è arrivato ieri durante l'incontro serale chiesto da Letta a Sel. Nichi Vendola, salito a Palazzo Chigi con i capigruppo, ha avuto dal premier l'ammissione che i numeri, al Senato, restano estremamente incerti. E che quindi potrebbe servire un aiuto da Sel, almeno sotto forma di uscita dall'aula per non essere contati tra i contrari. Invito che per ora Sel respinge: «Non ci pensiamo neanche - dice Nicola Fratoianni - a fare da stampella a un'operazione che serve a uscire dalla Seconda repubblica per tornare alla Prima, con tanto di neo-Dc». E anche la chiamata alle armi di tutti i senatori a vita (compresi, si dice, anche Carlo Azeglio Ciampi e Claudio Abbado, entrambi in cattive condizioni di salute) conferma una grande incertezza. «Ci sono solo 16 voti sicuri dai senatori Pdl», confida un esponente Pd. «Macché 16, sono molti di più: aspettate e vedrete», assicura il franceschiniano Giacomelli.
A meno che, ipotesi che è circolata più volte ieri e che metterebbe in notevole difficoltà il Pd, non fosse lo stesso Berlusconi a decidere «la giravolta», come la chiama Peppe Fioroni, e a votare la fiducia. «In quel caso», avverte Paolo Gentiloni, «il Pd non potrebbe fare sconti o accettare pasticci». Andrea Martella, vicepresidente dei deputati Pd, getta però acqua sul fuoco: «Se anche votasse la fiducia, sarebbe un Cavaliere sconfitto e ininfluente, spinto solo dalla disperazione di non poter tenere i suoi». Ma «il piano A» del premier, come lo chiama il lettiano Marco Meloni, resta quello di far nascere subito un nuovo gruppo di pidiellini «deberlusconizzati», e rilanciare il suo governo su nuove basi. «Passando alla storia - dicono i suoi - come colui che archiviò il Cavaliere».

Azzardano i più entusiasti: «Come il nuovo Kohl».

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