Roma - La prossima trappola per il Pd potrebbe essere la Rai. Per Bersani e Veltroni l’unica strada è «cambiare la governance» della tv di Stato, per far «uscire i partiti» (incluso il Pd, che ha ben due consiglieri e il presidente) da Viale Mazzini, in sintonia con la stagione dei tecnici. Ma con i tagli che fanno scioperare la sinistra Rai (il sindacato dei giornalisti, le sigle tipo Articolo 21 e la galassia del movimentismo di sinistra), con quelli che fare? Sarà difficile, per Bersani, seguire la dieta di sobrietà che il dg Lorenza Lei, in linea con le richieste dell’azionista (il ministero del Tesoro, dove siede sempre Monti), vuole imporre alla Rai. Specie sul tema caldissimo delle sedi all’estero, che il «Piano Straordinario e di Emergenza» della direzione generale prevede di sfoltire e riformulare radicalmente (meno costi fissi, più centri «mobili» per gli inviati Rai). Tagliarne sette, per la precisione, su quattordici totali. E cioè Beirut, Buenos Aires, Istanbul, Madrid, Mosca, Nairobi e New Delhi, lasciando aperte quelle di Parigi, Londra, Berlino, Cairo, Gerusalemme, New York, Pechino, Bruxelles (che verrà rafforzata), e creando in più un nuovo ufficio di corrispondenza a Washington.
Un risparmio netto di 7 milioni di euro annui per la tv pubblica (10 se si aggiunge lo smaltimento di personale in eccesso a New York, la disdetta degli appartamenti in affitto), visto che «la quasi totalità degli uffici - ha detto la Lei - non presenta un accettabile rapporto tra costi sostenuti e numero di servizi prodotti», cioè costano molto ma producono poco. Un attacco all’informazione e al servizio pubblico, visto invece dal lato dei sindacati, che hanno organizzato un incontro pubblico di protesta a Roma il 29 febbraio, rilanciato dall’Unità («In difesa delle sedi Rai all’estero»), cioè per l’appunto dal giornale del Pd di Bersani e Veltroni. La solita palude democratica, a cui i segretari Pd sono quantomeno abituati.
Il partito di Bersani dunque si trova stretto in due morse. Il governo, nelle figure di Monti, Passera e Grilli, si è detto favorevole al piano di risanamento dei conti, mentre la Farnesina ha comunicato la sua «preoccupazione» per la parte sull’estero. E dunque, tagliare (anzi, Lei dixit, ristrutturare) sì o no? La direzione generale ha fatto un’analisi preliminare sulla produttività di quegli uffici nel 2011. E ha visto che i direttori tendono a mandare gli inviati per la copertura delle notizie dall’estero (o a far «cucinare» le agenzie dalla redazione centrale), piuttosto che usare gli uffici di corrispondenza. Che molto spesso, loro malgrado, fanno pochissimi servizi al mese. Quella di Nairobi, nel primo anno di vita (fu creata nel 2006) aveva prodotto poco più di un’ora in tutto per i tg Rai. Basse percentuali anche per la sede di Buenos Aires, New Delhi, Istanbul, Madrid, che si limitano spesso a servizi di costume per i rotocalchi del mattino. Qualche dubbio, negli uomini Rai, c’è solo per la chiusura degli uffici a Il Cairo, per un motivo semplice: in Medio oriente rimarrebbe solo Gerusalemme, col corrispondente Rai che non può spostarsi nei paesi arabi arrivando da Israele... E infatti l’Egitto è rimasto anche nel nuovo piano.
L’idea della Lei è di razionalizzare il sistema delle news dall’estero sfruttando la partnership con Associated press, che metterà a disposizione uffici e risorse produttive. Così si potrà fare a meno di sette sedi fisse ritenute poco produttive, ai costi che comprendono gli stipendi dei giornalisti, la troupe, i producer, i fonici e i tecnici. Insieme alla ristrutturazione delle sette sedi c’è poi un dimagrimento notevole per quella di New York. Un colosso di tremila metri quadri a Tribeca, quartiere intellettuale di Manhattan, gestito dalla controllata Rai Corporation.
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