
Immaginate un partito e uno schieramento con lo sguardo rivolto a ieri, che è lento a rendersi conto della realtà che cambia. Ebbene quel partito è il Pd e la coalizione è la cosiddetta alleanza di sinistra o di centro-sinistra che ambisce a prendere il posto del centro-destra. Certo le contraddizioni anche nella maggioranza di governo non mancano, basta pensare al difficile rapporto per non dire allergia che ha verso l'Europa e verso l'idea di un esercito europeo, Matteo Salvini.
Le motivazioni a sinistra sono diverse, magari opposte, ma il risultato non cambia: i paradossi si incontrano. A sinistra, però, c'è qualcosa di più profondo, una visione del mondo che non è mutata negli ultimi decenni. Anzi, per alcuni versi, su alcune questioni l'avvento di Elly Schlein ha determinato una regressione.
Risultato: il Pd rischia di essere il partito delle contraddizioni e delle ambiguità. È bloccato dalle sue ossessioni, dai suoi tabù, delle sue nostalgie per un mondo che ormai non c'è più. Ad esempio, come si fa ad andare in piazza per l'Europa quando la proposta della Commissione Ue per un riarmo, per una politica della difesa adeguata, per un'iniziativa che abbia come primo riferimento l'Ucraina, è accolta con una serie di distinguo e di no. Dice la Schlein: con gli 800 miliardi dobbiamo pensare anche al welfare, il riarmo non deve riguardare l'arsenale dei singoli paesi ma l'idea di un esercito europeo, né vanno usati i fondi di coesione meglio il debito comune. Solo che troppi ni all'esordio rischiano di far abortire un'iniziativa che ha comunque il merito di dimostrare che l'Europa c'è. La Schlein dovrebbe prendere esempio dalla disponibilità mostrata da altri leader europei della sinistra di governo dentro e fuori la Ue: da Scholz, che pure è reduce da una pesantissima sconfitta elettorale, a Starmer, allo stesso Macron che proviene, non dimentichiamolo, da una costola della sinistra. In tutti c'è una consapevolezza della drammaticità del momento che non trovi nella sinistra italiana. Qui i limiti, le paure, i ritardi vengono rimossi al solito con la liturgia della piazza e un oceano di retorica. Come se le parole bastassero a sostituire i fatti.
Il mondo cambia ad una velocità supersonica e il Pd e i suoi alleati si muovono a rallentatore. Sono la moviola della Storia.
Altro esempio è il cosiddetto «decreto salva Milano», un provvedimento che doveva sbloccare 150 cantieri fermi da anni. All'inizio erano d'accordo maggioranza e opposizione a cominciare dal sindaco Sala. Poi è bastato lo spauracchio della magistratura, delle inchieste per bloccare tutto e per spingere il Pd ad innescare precipitosamente la marcia indietro. L'epilogo è quello di una città che nell'immaginario collettivo dovrebbe essere la culla di un'economia dinamica, ma che sta diventando l'assioma della metropoli impantanata, stagnante. Anche qui pesa il passato, il richiamo della foresta togata, il dogma che qualsiasi iniziativa giudiziaria, anche la più discutibile, va assecondata.
Il punto è che tutto cambia repentinamente e il ritardo accumulato dallo schieramento di sinistra rischia di diventare incolmabile. Una volta erano i riformisti a percepire la realtà, ora sono relegati in un angolo e il Pd si muove secondo logiche e rituali fuori del tempo. E poi ti meravigli se le elezioni in Italia le vince la Meloni e in America Trump.
La sinistra perde e ricomincia con i comizi, con le piazze, con gli urli alla luna e l'ansia per il destino cinico e baro. Un circolo vizioso in cui gli errori vengono reiterati senza nessuna presa di coscienza.Trump, potrà sembrare assurdo, è soprattutto il prodotto di una sinistra che rifiuta di guardarsi allo specchio.
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