Pdl, Berlusconi in campo: cambia il nome, non Alfano

Il Cav a Milano esalta Angelino: "È bravissimo, gli altri segretari se li mangia a colazione". Poi lo sfogo a pranzo: "Dopo De Benedetti sono più povero"

Pdl, Berlusconi in campo: cambia il nome, non Alfano

Niente scossoni. Né strappi e predellini, almeno per ora. «Sa­remmo matti- spiega Silvio Berlu­sconi- a fondare un altro partito». I cambiamenti, se ci saranno, sa­ranno graduali. Il lessico, per esempio, può anche essere modi­­ficato, ma il resto no: «Voglio cam­biare il nome - dice in sostanza l’ex premier-ma non Angelino Al­fano ». A Bruxelles, giovedì, i gior­nalisti avevano registrato una fra­se devastante del Cavaliere: «Ad Angelino manca un quid». Retro­marcia. Anzi, smentita: «Angeli­no è bravissimo, intelligente, col­to. E si mangia a colazione, a pran­z­o e a cena i segretari degli altri par­titi ». Ovazione. E «moviolone», con la riproposizione dei sette mi­nuti di immagini girate a Bruxel­les: il Cavaliere risponde alle do­mande della stampa ma non pro­nuncia la frase assassina.

«Scusate se vi ho sottoposto a questa tortura», ironizza il fondatore del Pdl, rivolgendosi alla pla­tea del congresso milanese del Pdl. In prima fila si notano Danie­la Santanchè, il presidente della provincia Guido Podestà, il coor­dinatore regionale Mario Manto­vani, il governatore Roberto For­migoni. E i due giovani che si con­tendono la poltrona di coordina­tore cittadino: il superfavorito Giulio Gallera e lo sfidante Pietro Tatarella, che rappresenta l’area liberal.

Voci, boatos, scricchiolii. Non è un momento facile per i moderati italiani, incalzati dagli avveni­menti.

Sul Foglio Giuliano Ferra­ra predica una nuova stagione e ha svelato il simbolo, presunto, della creatura in gestazione: Tutti per l’Italia. Ma Berlusconi, alme­no quello di oggi, sembra lontano mille miglia da questa impostazio­ne rivoluzionaria. Il suo è un intervento breve, evidentemente pen­sato con l’intento di rassicurare più che di sparigliare. Certo, la na­vigazione di questi tempi è difficile, ma è anche vero che le elezioni amministrative incombono e il Pdl è sotto assedio. Berlusconi va dunque al punto: «Se ho deciso di fare un passo indietro, non è solo per via dello spread e dell’ossessio­ne dell’oppo­sizione che mi ritene­va responsabile della crisi, ma per­ché sono arrivato alla conclusio­n­e che l’Italia sia un Paese ingover­nabile». Stringi stringi, secondo il Cavaliere il premier dispone solo di due strumenti: il decreto legge, che in realtà è nelle mani del Quiri­nale, e il disegno di legge. Ma così non si va da nessuna parte. Occor­re battere strade inesplorate. E il Cavaliere battezza il suo sentiero: «Io spero che con il governo tecni­co­si possa discutere con l’opposi­zione una modifica dell’architet­tura istituzionale». Monti, par di capire, ha l’occasione per riscrive­re le regole e allora il prossimo in­quilino di Palazzo Chigi potrà fi­nalmente muoversi senza guinza­glio corto. Siamo dunque nella fa­se della discussione e il Cavaliere ne approfitta per ridefinire il ruo­lo di Alfano: «Sarà lui a condurre la trattativa su questi temi. Angeli­no è bravissimo, preparato, colto, intelligente e si mangia gli altri se­gretari». Alfano non è un segreta­rio declassato, anche se qualcuno continua a pensare che ormai sia un leader azzoppato. Alfano è fuo­ri discussione e con lui pure il par­tito.

«Saremmo matti a fondare un nuovo partito - spiega il Cavaliere - la modifica in vista riguarderà eventualmente solo il nome. Stia­mo valutando l’ipotesi: perché c’è l’acronimo Pdl e al Sud ci si mette anche l’articolo la, diventa la Pdl, e ci è sembrato che non commuo­va». Il problema è, in sostanza, sti­listico. L’anticipazione di Ferra­ra? «Ha avuto una bellissima idea, ma io non ho partecipato» prose­gue laconico l’ex premier che poi tocca le corde dell’orgoglio: «Non siamo un partito di plastica, ma ra­dicato fra la gente, un partito che ha un grande futuro e non sarà possibile cancellare». Berlusconi lascia l’auditorium dell’Unione del commercio e va a pranzo da Giannino : con lui una trentina di giovani, chiamati dalle eurodepu­tate Licia Ronzulli e Lara Comi, e i due sfidanti. A tavolal’ex capo del governo spiega che Monti non si tocca: «Continuerò ad appoggiar­lo. Del resto se le liberalizzazioni le avessi fatte io, mi avrebbero massacrato». Arriva la torta con il logo del Pdl, si ascolta il nuovo in­no e lui si commuove.

Poi divide il suo futuro in tre spicchi: presiden­te del Milan, presidente dell’università della Libertà, presidente di una fondazione per costruire nel mondo ospedali per i bambi­ni. Il presente però è nella mischia della politica italiana.

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