C'è anche la presenza nel direttivo dello Yacht Club di Marina di Loano tra gli elementi che secondo la Procura di Torino dimostrano la pericolosità di Paolo Ligresti, figlio di Salvatore, colpito da ordine di cattura mercoledì scorso insieme al padre e alle sorelle Giulia e Jonella. Davvero la passione per la vela può essere considerata la prova della capacità di continuare a commettere reati gravi come il falso in bilancio e la manipolazione dei mercati? Eppure nell'ordine di cattura si parla anche dello Yacht Club.
È un dettaglio forse surreale, ma che illumina bene uno dei temi meno trattati nei giorni seguiti all'arresto in massa della famiglia Ligresti: quello delle «esigenze cautelari», come vengono chiamate in gergo giudiziario. Ovvero dei motivi che giustificano, a più di due anni dai reati, la necessità spedire in galera degli indagati che non ricoprono più alcun ruolo operativo nell'azienda su cui la procura torinese sta indagando.
Paolo Ligresti in carcere non c'è finito per puro caso: la Procura non sapeva che da pochi giorni era cittadino svizzero, e come tale non è estradabile. Così invece di acciuffarlo a Milano, dove era fino al giorno prima, gli hanno lasciato il tempo di varcare il confine. Ma le sue sorelle Giulia e Jonella sono in cella, una a Vercelli e l'altra da ieri alle Vallette, a Torino. Il vecchio don Salvatore si è visto concedere i domiciliari solo per i suoi ottantun'anni. Le 136 pagine dell'ordine di cattura offrono uno spaccato disarmante delle abitudini personali dei Ligresti e dei loro manager, che - con Fondiaria Sai sull'orlo del precipizio - continuavano a assegnarsi emolumenti stratosferici e benefit da sibariti: sono elementi in parte già noti, e che avranno il loro peso quando si tratterà di processare i Ligrestos sia a Torino che a Milano, dove sono indagati per bancarotta fraudolenta. Ma perché, a differenza della Procura milanese che li indaga a piede libero, a Torino hanno voluto a tutti i costi mettere in cella i Ligresti? E su quali basi?
La lettura dell'ordine di custodia non dà risposte. I pm Vittorio Nessi e Marco Gianoglio inviano la richiesta d'arresto per tutta la famiglia il 30 maggio; il 26 giugno, dopo avere intercettato alcune sue telefonate piuttosto incaute, aggiungono all'elenco dei carcerandi anche il manager Emanuele Erbetta. Il 12 luglio il giudice preliminare Silvia Salvadori firma l'ordinanza. Al momento di motivare le esigenze cautelari, a pagina 119, il gip si limita a dire che «non vi è alcuna ragione per ritenere che gli stessi spontaneamente non incorrano in altre condotte analoghe», visto che se non fosse stato per l'intervento di Unicredit avrebbero portato il gruppo a una crisi dagli esiti «irrimediabili» (in realtà su questo ruolo salvifico di Unicredit i giudici fallimentari milanesi e la stessa Procura meneghina la pensano un po' diversamente dai colleghi torinesi); il rischio di reiterazione del reato è dimostrato secondo il gip dalla disponibilità di ingentissimi patrimoni» e dalla presenza dei Ligresti negli organi di altre società, come Pirelli ma anche come lo Yacht Club.
A sostegno del pericolo di fuga vengono invece citati un viaggio di Paolo Ligresti alle Cayman, che però risale a ottobre, e che in realtà pare sia stato una semplice puntata a un campo di golf durante un viaggio in America con la famiglia.
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