Pinotti, la Generalessa diva con un passato da pacifista

Efficace in tv e decisionista, la prima donna a capo della Difesa piace ai militari nonostante i trascorsi cattocomunisti. E pensare che voleva occuparsi di economia

Pinotti, la Generalessa diva con un passato da pacifista

Non a caso il neo ministro della Difesa, Roberta Pinotti, è chiamata la «Generalessa» e senza alcuna ironia. Le Forze Armate la adorano e non gliene importa un baffo che venga dall'ex Pci e che in gioventù sia stata pacifista. La considerano una commilitona per la passione delle cose soldatesche, il parlare essenziale e la competenza pari quella di dieci generali pluridecorati. Così per avere, una volta tanto, l'uomo giusto al posto giusto, c'è voluta una donna - la prima d'Italia in questo ruolo - che le stellette adocchiavano da anni come ministro ideale, riuscendo alla fine ad accaparrarsela.
Che nella nomina fatta dal premier Renzi, ci sia lo zampino grigioverde è più che certo. Dei politici sfilati negli ultimi anni in Palazzo Baracchini, sede del ministero, il solo all'altezza della decantata Pinotti era Giuseppe Cossiga, figlio del fu capo dello Stato e sottosegretario del Berlusca IV, gran cultore di strategie belliche. Ma, uscito lui di scena nel 2013 (candidato Fli, non è stato rieletto), e passato il testimone alla sinistra, non c'era - agli occhi dell'establishment militare - che Roberta. E Roberta fu.
Il mondo della Difesa è un compendio in scala ridotta del gigantismo dello Stato. Amministra in proprio ferrovie, porti, aeroporti, strade, satelliti, onde radio. Pinotti ha venti e rotti miliardi l'anno per alimentare la baracca e sostentare i trecentomila e più uomini della truppa: 108 mila soldati, 32 mila marinai, 44 mila avieri, 120 mila carabinieri. Dovrà affrontare diversi grattacapi. Dai due marò all'acquisto degli aerei F35 contestato da molti (non da lei, cui vanno a fagiolo), alla riduzione degli sperperi: quadri superiori ridondanti, l'eccesso delle due portaerei della Marina (l'unica in Europa che se lo permette), la farsa degli alloggi militari che le alte sfere gallonate vogliono comprarsi per 500 milioni, ma valgono il quadruplo. Tutte cose che farebbero tremare chiunque, non Roberta la quale deve solo - mi dicono - non farsi infinocchiare dai furbacchioni del dicastero che avvolgono ministri di premure per occultare i problemi.
La Generalessa ha incrociato casualmente l'universo militare, anche se c'era già - come vedremo - un elemento comune. Le cose sono andate così. Nel 2001, Roberta, allora di quarant'anni, fece il grande balzo dalla politica locale della natia Genova, a Montecitorio. Entrò nella commissione Bilancio, estranea alle sue corde essendo di mestiere insegnante di Italiano nei licei. A metà legislatura, quando sono consentiti cambiamenti, si trasferì in commissione Difesa, ma per ripiego. Era stata infatti costretta a cedere ad altri il posto in commissione Industria dove intendeva occuparsi di imprese e infrastrutture del suo collegio ligure. Di necessità fece però virtù. Si buttò a capofitto nei misteri guerreschi e ne rimase così conquistata da cambiare quasi fisicamente. Reduce dalla capigliatura a treccia della sua gioventù, era giunta alla Camera con una coiffure bionda irta di ciuffi e vagamente erinnica. Ma venuta a contatto con il rigore militare, si impettì pure lei, passando a un geometrico taglio a caschetto, un trucco essenziale e un'eleganza sobria ispirata all'Esercito della salvezza.
Già nella successiva legislatura del 2006, quella del governo amico di Prodi, Roberta ebbe la presidenza della commissione Difesa (la prima di una donna), moltiplicando i contatti con greche e stellette. È da allora che i tamagni in divisa hanno cominciato a intortarsela intuendone il passo lungo (sempre rieletta) e l'utilità per il loro universo. Dopo averla fatta volare, con suo grande entusiasmo, su un Mb339 delle Frecce Tricolori, se la portarono in Afghanistan tra le truppe. Pinotti respirò con voluttà l'atmosfera dura del campo, gustò il rancio come fosse paté, si rannicchiò sulla brandina e apprezzò la doccia di fortuna più di una Jacuzzi. Fu così che gli uomini capirono che era una dei loro e Roberta spiegò anche il perché.
Era stata scout per lunghi anni e condivideva perciò spontaneamente - ora le diventava chiaro - i valori militari: pantaloni corti, bivacchi, carne insaccata, cameratismo e disciplina. Messa all'aperto e canti patriottici completavano la sua adesione a quel mondo. Pinotti è infatti cattolica praticante e presentatrice di un provvedimento che istituisce la giornata dell'Inno di Goffredo Mameli, suo concittadino, da festeggiare, se mai passasse la proposta, il 10 dicembre, giorno della prima esecuzione nel 1847. Corollario di tutto ciò, è il gusto del ministro per lo sforzo muscolare. Io che sono un patito dei sacrifici altrui, l'ho ammirata il 2 marzo gareggiare nella maratona Roma-Ostia e non me la perdo mai alle otto di ogni santa mattina quando, in tuta stretta alla Carolina Kostner, balza sulle scale di Trinità dei Monti per correre un'ora a Villa Borghese in preda all'euforia da endorfine.
Figlia di un operaio comunista, Roberta si iscrisse ventenne nel Pci, frequentando parimenti scout e parrocchia. Il combinato disposto di berlinguerismo e cattolicesimo ne fecero una pacifista attiva. Cosa che gli odierni arcobaleno le rinfacciano ora che, come dicono, è ministro «della guerra». Costoro la settimana scorsa le hanno dedicato sotto la Lanterna una distribuzione di volantini in cui ricordano: la sua adesione ai «Blocchi non violenti» che si opposero negli anni Ottanta a una mostra di navi e armi a Genova; la vicinanza al guru pacifista ed ex capo scout, Sergio Tedeschi; la partecipazione nel 2001, già deputato, alla kermesse no-global di Porto Alegre. Da tutto ciò, Roberta non si sente scalfita. Accetta la sua maturazione e si ritiene comunque coerente. Infatti, ripete: «Continuo a credere che si può lasciare il mondo meglio di come lo abbiamo trovato».
Oggi è una diva, sicura del fatto suo. Va molto in tv dove si distingue per equilibrio. Esercita l'equanimità anche con gli avversari. Quando Daniela Santanché fu ferocemente attaccata da Pd e M5S perché si era candidata a vicepresidente della Camera, Pinotti - che forse percepiva in Santanché una compagna d'armi - disse: «Io non avrei problemi a eleggerla».
La sola che la detesti è Marta Vincenzi, collega di partito ed ex sindaco di Genova. «Donna di ambizioni sfrenate», la definisce. Si può capirne il rancore. Era stata a lungo il suo pigmalione e Roberta le deve molto.

Ma quando non le è più servita, Pinotti l'ha morsa come la classica serpe, uccidendola (politicamente).
La Generalessa, che oggi ha fama di traditrice, non si scompone per la nomea: l'inganno fa parte dell'arte della guerra.

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