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"Il pm mi disse: lei fa il figo, ma qui comando io"

L’ex consigliere di Forza Italia assolto a Milano dopo gli arresti: "Svegliato e perquisito alle sei del mattino"

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«Ero convinto che nell’interrogatorio avrei avuto la possibilità di spiegare tutto. Invece mi trovai davanti un pubblico ministero che diceva: lei arriva tutto figo pensando di essere ancora in Regione, invece qui comando io. E lei può solo rispondere sì o no». Sono passate ventiquattr’ore da quando, nell’aula maggiore del tribunale di Milano, il giudice Paolo Guidi ha pronunciato la sentenza che smantella quasi per intero l’inchiesta «Mensa dei poveri», l’ultima indagine della procura ambrosiana sul fronte della politica. Quarantasei assoluzioni, undici condanne, una Caporetto per la pubblica accusa. Fabio Altitonante, ex consigliere regionale di Forza Italia, non se l’è sentita di entrare in aula a sentire il verdetto. Altrimenti si sarebbe messo a piangere come il suo amico Pietro Tatarella. Assolti anche loro, tutti e due, «il fatto non sussiste». «Pietro si era fatto anche tre mesi di carcere, tra Opera e Busto Arsizio. Con me erano stati più teneri: tre mesi di domiciliari».

Come è cominciata?
«Con una telefonata alle sei del mattino dei carabinieri, il 7 maggio 2019: “siamo sotto casa sua, ma non troviamo il nome sul citofono". Salirono, perquisirono la casa, poi mi dissero: c’è un’ordinanza di arresti domiciliari. Mi portarono in caserma e mi fecero delle domande. Erano i nomi di gente che non sapevo neanche chi fosse. Chiesi: ma siete sicuri che sia io?».

Quando capì di cosa la accusavano?
«Quando lessi le carte, e rimasi di sasso. Mi accusavano di corruzione per una telefonata fatta al Comune per chiedere informazioni per un amico che doveva rifare una facciata, e di finanziamento illecito per una festa di pugliesi insieme a Tatarella, quando eravamo tutti e due candidati. Vicende di questo livello venivano raccontate dai telegiornali come una storia enorme, una nuova Tangentopoli, al caso “Mensa dei poveri" venne dedicata persino una puntata di Porta a porta. Smisi di guardare i telegiornali, mi sembrava di essere in una realtà parallela. A scuola mio figlio che aveva tredici anni lo chiamavano il figlio del ladro, dovette smettere di andare a lezione. Dopo tre mesi il tribunale del Riesame mi derubricò il reato di corruzione in traffico di influenze e mi liberò. Uscire dai domiciliari fu più traumatico dell’arresto, avevo paura ad attraversare la strada, ogni Volante mi sembrava che fosse lì per me».

Quest’anno si è ripresentato alle elezioni regionali, col processo ancora aperto.
«Un giornale manettaro mi ha definito “impresentabile". Ho preso quattromila voti, terzo di Forza Italia. Evidentemente c’è qualcuno che ha ancora fiducia in me. Ma intanto ho perso tutto quello che avevo costruito in dieci anni di attività politica».

Ha seguito il processo?
«Poco. Qualcuno mi diceva: i processi di primo grado a Milano sono dei plotoni di esecuzione. Io non ho mai perso la fiducia nella giustizia, e la sentenza mi ha dato ragione. Ma questi anni non me li ridarà nessuno».

La sentenza dice che il sistema criminale teorizzato dalla Procura non esisteva. C’era invece una questione morale, un rilassamento dei costumi? Circolavano personaggi come Nino Caianiello, l’ex coordinatore di Forza Italia a Varese divenuto il pentito dell’inchiesta.
«C’erano tante situazioni diverse, e uno dei tanti sbagli della Procura è stato accomunare in un solo minestrone fatti e personaggi lontanissimi gli uni dagli altri».

Cosa le ha insegnato questa vicenda?
«Che la politica è una delle cose più belle che ci siano perchè puoi lasciare un segno positivo nella vita degli altri, ma che in Italia è difficile fare serenamente politica perchè da un momento all’altro puoi sparire senza colpe. Esiste un rischio giudiziario senza avere fatto nulla di illegale e avendo agito nella trasparenza. Io credo che l’errore giudiziario ci possa stare ma non può essere la regola, i ladri devono andare in galera ma gli innocenti vanno tutelati, invece oggi la magistratura ha un potere assoluto sulla vita della gente.

La politica deve trovare il coraggio di intervenire».

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