Il premier corre il rischio di fare la fine di Bersani

Le elezioni europee di oggi sono le prove generali di quelle politiche

Il premier corre il rischio di fare la fine di Bersani

Le elezioni europee di oggi sono le prove generali di quelle politiche che, secondo Silvio Berlusconi, si dovrebbero svolgere l'anno venturo. In Italia è da sempre così: qualsiasi votazione viene considerata un test per misurare la temperatura politica. Per cui il dato che uscirà la prossima notte dalle urne sarà utilizzato dai partiti per farsi la guerra a Roma e non per combattere a Bruxelles allo scopo di correggere la linea Ue imposta da Angela Merkel, forte dei suoi panzer economico-finanziari.
In nessun altro Paese accade ciò. Se in Francia, ipotizziamo, vincesse Marine Le Pen non ci sarebbe anima intenzionata a mandare a casa François Hollande, invocando consultazioni anticipate. Dalle nostre parti, viceversa, anche si votasse per rinnovare soltanto il consiglio comunale di Caronno Pertusella, i risultati influirebbero sulla stabilità del governo nazionale. Pertanto non si illuda Matteo Renzi. Nei suoi panni, piuttosto, ce la faremmo sotto. Quando egli afferma che, se conquista un punto in più o uno in meno di Beppe Grillo, la sua poltrona non è comunque a rischio, dice una sciocchezza. Forse lo fa per mettere le mani avanti o per scaramanzia.
La realtà è diversa da come egli la descrive. O il Pd si piazzerà nettamente in testa e buonanotte, oppure, se avrà sul collo il fiato del M5S, il premier dovrà affrontare difficoltà raggelanti. Per chiarirsi le idee chieda informazioni a Pier Luigi Bersani. Il quale nel febbraio dello scorso anno arrivò primo (alle politiche, non alle europee), quindi teoricamente spettava a lui formare l'esecutivo, invece fu costretto a cedere il passo a Enrico Letta. Ora la situazione è peggiorata rispetto a quel tempo recente.
Infatti Renzi è entrato di sfroso a Palazzo Chigi, spinto dal successo rimediato alle primarie. I compagni nella circostanza hanno chiuso un occhio, ma un discreto numero di essi gliel'ha giurata. Un semi fallimento certificato dallo spoglio sarebbe una sorta di detonatore: gli avversari dell'ex sindaco di Firenze farebbero esplodere la loro rabbia e avrebbero buon gioco nel tentativo di detronizzarlo, sostenendo che la sua leadership è stata un flop. Inoltre, caro presidente, si immagini il ghigno di Grillo mentre commenta la performance pentastellata. Non sente un brivido? Col nostro discorso non desideriamo portarle iella, ma aiutarla a posare i piedi per terra: valuti almeno il pericolo di essere presto bersanizzato, cioè accantonato per scarso rendimento elettorale.
D'altronde, le sue riforme a presa rapida hanno dovuto fare i conti con l'andatura lumachesca dei nostri apparati istituzionali, cosicché sono o abortite o rimaste chiuse in un cassetto: la legge elettorale dorme, il superamento del Senato è finito nel dimenticatoio, la legge sul lavoro è un vomitivo, l'abolizione delle province è stata una boutade (eufemismo di presa per il culo). Sul tavolo riformista spiccano solamente 80 euro e la tassa sulla casa che cataloghiamo per gentilezza d'animo ancora alla voce boutade.
Con un carnet di questo genere, signor premier, non penserà di aver eguagliato in abilità Quintino Sella.

È improbabile che gli elettori più sfiduciati abbandonino la chimera Grillo per venire in suo soccorso. Non le attribuiamo molte colpe. Anzi, ne ha una sola: credere ingenuamente che la democrazia parlamentare in Italia possa funzionare grazie a lei. Ma ci faccia il piacere. Scenda dalla pianta.

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