Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, può presentarsi spavaldo e sicuro di sé quanto vuole, ma il vizio d'origine, quello di essere un presidente non eletto, arrivato a Palazzo Chigi senza una legittimazione popolare, solo grazie a una congiura di palazzo, ne condiziona drammaticamente l'operato. Sentendo questa mancanza, e soffrendone, Renzi orienta tutta la sua azione di governo a colmare ossessivamente questa lacuna. E vive nell'ansia continua da prestazione. Ansia per cui non basta annunciare che taglierà di 80 euro al mese l'Irpef sui redditi medio-bassi: per rafforzare la sua posizione e sembrare più che mai credibile, mette il carico da 90. Aggiunge che non solo ha le coperture, ma ne ha il doppio di quelle che servono. Idem sulle riforme istituzionali: se non le faccio mi ritiro per sempre dalla vita politica, chiamatemi buffone.
Sul doppio fronte della politica economica e delle riforme istituzionali Renzi si gioca tutto. Dalle sgangherate strategie economiche spera di trarre il primo dividendo: la ripresa dell'economia. Dal suo asserito riformismo istituzionale, scalcagnato come quello economico, spera di trarre il secondo: quello della legittimazione politica e del consenso elettorale. Il tutto sotto la chiave della demagogia e del populismo, andando fintamente ad attaccare le bestie nere del luogocomunismo. I cattivi burocrati, i cattivi manager, i banchieri, le auto blu, la casta, gli sperperi da campagna elettorale, le pensioni d'oro. Un continuo gioco al rialzo. In economia, questo atteggiamento è definito «azzardo morale»: comportamento opportunistico post contrattuale. Rappresenta la condizione per cui un soggetto, che sa di non pagare le conseguenze economiche negative di un suo comportamento, assume atteggiamenti diversi da quelli che assumerebbe se invece quelle conseguenze dovesse subirle. Renzi, dunque, o vince o se ne va. E cerca di perseguire il suo doppio dividendo giocando funambolicamente, e avendo come unico orizzonte temporale quello di breve termine. Per fare questo, ha messo in piedi due linee di azione parallele. Entrambe già impantanate. Ma questo a Renzi non interessa: lui gioca a comprare tempo. Il tempo per vincere le elezioni di maggio, per incassare il dividendo politico-elettorale e darsi la legittimazione democratica che non ha. E il tempo per presiedere il semestre italiano dell'Ue, che dovrebbe accompagnare e giustificare le sue sgangherate manovre di politica economica. A contrastare questo funambolismo, però, ci sono fatti. Le riforme istituzionali: scritte con i piedi, incostituzionali, ridicole. La politica economica: inconsistente, inventata, folle, che si traduce in tagli di imposte una tantum, non coperti, affidati a clausole di salvaguardia che aumentano la pressione fiscale, senza produrre effetti positivi né in termini di consumi né di investimenti. Il primo che smaschererà questo azzardo morale, come ha già cominciato a fare Berlusconi, non solo farà cadere il governo Renzi, ma salverà l'Italia dal doppio imbroglio che abbiamo descritto.
Sul piano economico, il calendario è serrato e drammatico: tra giugno e luglio, quando la Commissione europea dell'ottava legislatura si sarà insediata, ma con anticipazioni già il 5 maggio, l'Italia rischia la prima bocciatura sul Def, con tanto di risposta negativa sul rinvio del pareggio di bilancio strutturale al 2016, e con conseguente esplicita necessità di manovra correttiva. Se, poi, in autunno non vara la manovra correttiva, l'Italia rischia l'apertura di una procedura di infrazione per deficit e per debito eccessivo. Ancora in autunno: se dopo gli stress test estivi della Bce su 15 banche italiane l'Europa chiederà di ricapitalizzare i nostri istituti di credito, non solo il mercato, ma anche il governo dovrà fornire le risorse necessarie, e gli stessi 10 milioni di italiani che a maggio riceveranno gli 80 euro, a breve rischiano di doverli restituire. Sorte ancor peggiore attende gli altri 31 milioni di italiani esclusi dal bonus mensile. Renzi azzarda sicurezza, a parole. Ma, andandolo ad analizzare attentamente, il decreto Irpef pubblicato in Gazzetta ufficiale gronda incertezza, pericolose clausole di salvaguardia, buchi logico-economici. L'effetto sulla crescita è sostanzialmente nullo. L'occupazione non migliorerà come non migliorerà il Pil, sia per l'irrilevanza quantitativa macroeconomica tanto del bonus Irpef quanto dello sgravio Irap, sia perché l'effetto di domanda verrà compensato dai tagli della spesa pubblica, o dall'aumento di altre tasse, necessari a finanziarli. Oppure, ancor più grave, l'effetto sarà negativo per il semplice motivo che i limiti quantitativi dei bonus fiscali sono ben definiti (come lo sono i beneficiari), mentre è ancora vaga l'entità e la composizione dei tagli di spesa e soprattutto i destinatari delle punizioni promesse e vagheggiate dal nostro battagliero premier. La vera questione non è se questa spending review darà risultati, ma il fatto che da circa 8 mesi si annunciano tagli di stipendi pubblici e di pensioni, penalizzazione delle rendite finanziarie, chiusura di province e enti costituzionali, attacchi a caste privilegiate più o meno estese, spianamento delle burocrazie, criminalizzazione di intere categorie, avvertimenti più o meno intimidatori a organi dello stato che potrebbero obiettare qualcosa in tema di legittimità delle azioni di governo, e ciò non può non determinare, come è avvenuto lo scorso anno con l'Imu, una situazione generalizzata di attesa in tema di consumi e investimenti.
Fino ad oggi si è sentito di tutto in tema di spending review, poco in realtà è accaduto. Ai tagli generalizzati degli stipendi pubblici continuamente minacciati è seguita fino a oggi la fissazione di un ulteriore tetto alle remunerazioni apicali dal nullo impatto sulla spesa e la sceneggiata delle auto blu su e-bay. Ma gli annunci roboanti di battaglia hanno effetti depressivi sull'economia anche se non seguiti da provvedimenti effettivi. Le iniezioni limitate di potere di acquisto decise dal governo fino a oggi hanno copertura certa solo nelle clausole di salvaguardia, cioè nell'aumento di imposte e tagli automatici di spesa che scatteranno se le coperture promesse non si dimostreranno realizzabili, ma gli effetti depressivi delle coperture promesse già sono in grado di paralizzare l'Italia anche se poi i fatti non seguiranno agli annunci. Al danno, quindi, si aggiungerà la beffa. Per gli italiani: aumento di tasse conseguente all'attivazione automatica delle clausole di salvaguardia sparse nel decreto Irpef e aumento di tasse che il governo, incapace dei tagli di spesa che ha promesso, dovrà varare per riportare i conti pubblici sul sentiero concordato con la Commissione europea. E nessun aumento dell'occupazione.
Insomma, Renzi gioca a governare senza legittimazione democratica. La sua politica economica produce incertezza e le riforme istituzionali sono spiaggiate al Senato. La sua è una scommessa al buio. E come le operazioni finanziarie «allo scoperto» rientrano nell'alveo delle attività di tipo speculativo con orizzonte temporale di breve termine, anche Renzi gioca a comprare tempo.
Gli bastano 6 mesi, per beneficiare del dividendo politico della legittimazione popolare il 25 maggio e del dividendo economico del deficit spending non sanzionato (lui spera) grazie a una gestione scoppiettante del semestre italiano di presidenza dell'Ue, dal 1° luglio. Ma non è con il continuo azzardo morale, con le continue scommesse, con i continui rilanci da funambolo della politica politicante che si governa l'Italia. La si manda solo in malora per sempre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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