Roma - Non sono trascorsi nemmeno cento giorni dalla vittoria delle Primarie. Cento giorni in cui tutte le certezze di Bersani sono state stravolte. Proprio come se fosse passato uno tsunami. Il 26 novembre scorso il segretario del Pd pensava di aver risolto i suoi problemi: Renzi era stato sconfitto e tutti i sondaggi davano il centro-sinistra in ampio vantaggio per le politiche. Bersani pensava di essersi inoltre finalmente libero dal giogo dello sponsor storico (leggi D'Alema) e, grazie alle primarie, grazie ai «giovani turchi» e a una direzione praticamente blindata, pensava di avere ampio margine di manovra.
In questi tre mesi le cose sono cambiate e, grazie a Grillo, non è solo la stabilità del Paese che scricchiola pericolosamente ma anche le fondamenta della casa dei democrat lanciano rumori poco rassicuranti. Insomma, per il primo partito italiano (in termini di parlamentari) c'è il concreto rischio se non di implosione almeno di un poco onorevole «sciogliete le file». A forza di sfilarsi dalla posizione caparbia del segretario («Grillo parli in Parlamento, deve confrontarsi con noi. Lo staneremo») sono in tanti ora, nel Pd, ad aver fatto il vuoto intorno al segretario. Se si vanno a contare le dichiarazioni delle ultime 48 ore, la maggioranza delle voci suggerisce un cambio di passo. Magari per offrire a Napolitano un candidato premier più «appetibile» per i palati dei grillini (o per i montiani, chissà).
Se è già archiviata (ma lo è davvero?) l'ipotesi del governissimo lanciata da D'Alema sulle pagine del Corriere della Sera, prende sempre più quota l'avallo a un governo di minoranza cui demandare soltanto quelle necessità immediate cui nemmeno i grillini o i montiani potrebbero dire di no. Insomma un governo di scopo. L'unico che riuscirebbe a togliere lo stesso presidente Napolitano dall'impasse in cui si trova.
Ieri lo suggeriva anche il politologo Giovanni Sartori («un governo per riformare la legge elettorale e poi di nuovo alle urne»). Però l'idea era già circolata proprio negli ambienti dalemiani, tanto che sul webmagazine Thefrontpage, diretto da Claudio Velardi, mercoledì era comparso un editoriale dal titolo «Elezioni subito» in cui si consigliava un programma snellissimo: solo 5 punti. Ecco il primo: «Bersani rinunci agli ossimori e dichiari di aver perso le elezioni. Di conseguenza, annunci fin d'ora che lascerà la segreteria del partito nei tempi (brevi) dovuti».
Quindi la direzione di mercoledì prossimo potrebbe portare pessime novità per un segretario visibilmente inquieto (a detta di chi gli sta vicino). Ora non ci sono soltanto i vari Enrico Letta (che prima del voto aveva messo le mani avanti: «Preferisco che i voti del Pd vadano al Pdl, piuttosto che disperdersi verso Grillo»), Morando, Gentiloni e Fioroni a fargli la fronda. Per motivi diversi si uniscono i «giovani turchi» e gli ex dalemiani, che oggi cantano stranamente in coro con Veltroni. Anche alcuni dei suoi più stretti collaboratori stemperano le sue dichiarazioni. Prendiamo il caso di Alessandra Moretti. «D'altronde lo ha detto lo stesso Bersani - spiega ai microfoni di Tgcom 24 - che può fare sia il capitano che il mozzo purché la nave non venga abbandonata». Quindi se il segretario non sarà premier tutto è possibile. Anche la presidenza del Senato a Berlusconi.
«Ho espresso contrarietà - aggiunge la Moretti - al governo col Pdl. Per le cariche istituzionali, però, il discorso è diverso». E c'è chi come un bersaniano convinto come Civati già pensa al congresso. «Bisogna ripartire da zero e mettersi nelle condizioni di competere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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