Processo stalinista a Renzi "Un populista come il Cav"

Dopo il suo attacco ai dirigenti, il Pd e Repubblica gettano fango sul rottamatore. Ma c’è chi lo appoggia: "La vecchia delegittimazione dell’avversario non funziona più"

Processo stalinista a Renzi "Un populista come il Cav"

Matteo Renzi è come Silvio Berlusconi. E a pensarci bene somiglia anche a Bettino Craxi. Per non parlare del fatto che ricorda molto Amintore Fanfani, che aveva pure lo stesso accento toscano.

Usa la pesca a strascico lo storico Miguel Gotor, per tirare a galla ogni «uomo nero» dell’immaginario di sinistra, ogni arcinemico additato nei lustri al popolo Pci-Pds-Ds e ora Pd, assimilarlo al sindaco di Firenze e far passare il messaggio: attenti, ora questa mostruosa creatura, sintesi di tutti i mali che abbiamo combattuto, ci sta entrando in casa, sta provando ad impadronirsi di noi e del nostro partito. Renzi, per Gotor, è «culturalmente subalterno alla destra», ha la stessa vena «populistica e personalistica» del Cavaliere, la sua linea politica è «contro il suo partito», è ossessionato da un «acritico nuovismo», sembra il «figlio ideale di Ghino di Tacco» per la sua «chiara impronta craxiana», si sta «servendo del Pd per un’operazione di sfondamento a destra di carattere presidenzialista come tentò nel ’74 Fanfani», e via col tango.

Sembra l’Unità degli anni Cinquanta, quella dalle cui colonne Togliatti avvertiva che «anche nella criniera del più nobile destriero possono annidarsi pidocchi», e invece è la Repubblica di ieri, che con la firma di Gotor (storico a Torino e fiore all’occhiello del brain trust della dalemiana Fondazione ItalianiEuropei, nonchè autore insieme al direttore dell’Unità Claudio Sardo di un simpatetico libro-intervista con Pier Luigi Bersani) apre la campagna per le primarie Pd. In chiave non tanto pro-Bersani, quanto soprattutto anti-Renzi.

Il sindaco, dicono i suoi, aveva messo in conto il trattamento e non si stupisce della virulenza degli attacchi e della loro provenienza. Sotto sotto, insinua chi lo conosce, ne è contento: paradossalmente gli attacchi lo legittimano e gli danno visibilità, ne fanno il vero protagonista della campagna e attirano su di lui le simpatie di tutti coloro che, come sintetizza un parlamentare non ex Ds, «sono allergici al vecchio metodo stalinista della distruzione della personalità dell’avversario».

E così più i suoi avversari si accaniscono, più lui ostenta fair play e distaccato buon umore. Giorni fa Stefano Fassina, alfiere della linea di sinistra del Pd (e, dicono al Nazareno, aspirante candidato alla segreteria del partito) si è scatenato contro Renzi dai microfoni della Zanzara: «Una figura minoritaria nel partito, ripete a pappagallo alcune ricette della destra, è fuori tempo massimo, non si capisce neanche cosa propone. È un ex portaborse, diventato poi sindaco di Firenze per miracolo».

Renzi (che a suo tempo non si era risparmiato su Fassina, spiegando che «non mi faccio dettare la linea economica da uno che non ha preso neanche i voti del suo condominio») non ha fatto una piega: «Ah, Fassina... Bersani è più serio delle persone che lo circondano». E ieri ha liquidato le invettive di Rosy Bindi con un serafico: «Non ho letto, ma qualunque sia la sua dichiarazione niente polemiche». La presidente del Pd, intervistata sempre da Repubblica, è inferocita con Renzi, garbatamente definito «il nulla, uno che non sa nemmeno fare il sindaco della sua città». Logico che la Bindi sia inviperita con chi la usa regolarmente come esempio del «vecchio» da rottamare («Era già in Parlamento quando io andavo alle elementari»), ma il vero avvertimento pare rivolto più a Bersani che a Renzi, al segretario che da giorni sta ripetendo ai suoi che «sul limite dei tre mandati sarò rigidissimo», e che si prepara a depotenziare Renzi facendo proprio lo slogan del «rinnovamento».

Bindi accusa Bersani di «forzare lo statuto» per aprire le primarie a Renzi e, soprattutto, fa capire che, se si aprirà un braccio di ferro sulla sua ricandidatura, lei controproporrà che non vengano candidati «funzionari di partito». Ben sapendo che c’è un fitto drappello di aspiranti deputati bersaniani che quello fanno di mestiere.

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