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Prof disastrosi, imprese senza un euro

Pasticcio del governo: slitta l'ok al decreto per i 40 miliardi di rimborsi. L'Ue avverte: se sale il deficit stop ai pagamenti

Prof disastrosi, imprese senza un euro

Roma - Stavano preparando una trappola burocratica che avrebbe vanificato ogni tentativo di liquidare i primi 40 miliardi di debiti che la pubblica amministrazione deve restituire alle imprese (su un totale di 90). Un groviglio, molto italiano, fatto da iter attuativi impossibili, «tavoli» infiniti e rigore non richiesto. Il tutto rischiando di sprecare lo spiraglio aperto dalla Commissione europea, che ha garantito all'Italia un po' di flessibilità sui conti se lo Stato salderà i suoi debiti con le aziende. Spiraglio che - novità di ieri - si chiuderà se l'Italia accumulerà troppo deficit.

Sarebbe stato un pasticcio, l'ultimo del governo guidato da Mario Monti, se le aziende non se ne fossero accorte e non avessero chiesto, ottenendolo, un rinvio del consiglio dei ministri sui debiti della Pa.
Motivazione ufficiale: i ministri dell'Economia e dello Sviluppo Vittorio Grilli e Corrado Passera, «anche a seguito delle articolate risoluzioni approvate da Camera e Senato» hanno «fatto presente al presidente del Consiglio l'opportunità di proseguire gli approfondimenti necessari». Tradotto, Passera si è fatto carico delle istanze delle imprese e ha chiesto modifiche, non senza attrito, ai colleghi Grilli e Monti.

Tra le parti segnate in rosso, il fatto che il provvedimento prevede ben otto decreti attuativi. Tempi infiniti, quindi, e ancora una volta tanta incertezza. Come era già successo con i precedenti decreti, praticamente inattuati.
Altro intoppo burocratico, la creazione di tre fondi distinti (per gli enti locali, le Regioni e la sanità), da armonizzare con il classico «tavolo» governo-imprese-autonomie locali. Altro tempo, preziosissimo che le aziende non hanno.

Poi, ha segnalato il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti, l'impossibilità per gli enti autorizzati a pagare nuovi investimenti per i prossimi cinque anni. In sostanza Comuni e Province, per un lustro, non potrebbero più finanziare una strada o il trasporto locale. Infine un limite di 5 miliardi nel 2013 ai rimborsi per gli investimenti, niente nel 2014.
Ostacoli, osservavano ieri fonti delle imprese, che sembrano studiati per non allargare i cordoni. Una eccessiva prudenza della Ragioneria dello Stato, insomma.
In una delle bozze dei giorni scorsi si ipotizzava la possibilità per le Regioni di alzare in anticipo di un anno, dal 2013 invece che dal 2014, l'addizionale Irpef. Il ministero dell'Economia ha negato la paternità della stangata. La versione, poi ritirata, con l'Irpef sarebbe uscita direttamente da Palazzo Chigi.

Di certo la vicenda del decreto sui debiti si intreccia con quella dei conti pubblici italiani. Il governo ha deciso di portare il deficit del 2013 al 2,9%, al limite della soglia Ue del 3%, per pagare i debiti della Pa non contabilizzati. Cosa che ha messo in allarme Bruxelles, tanto che ieri Monti ha telefonato al commissario Ue Olli Rehn per garantire che «l'Italia rispetterà il tetto del 3% del rapporto deficit/pil» nel 2013.

Nella risposta di Rehn, una rivelazione. Il premier italiano, ha riferito il portavoce del «ministro» europeo, ha spiegato che nel decreto ci sarà «una clausola di sospensione dei pagamenti stessi, se si arrivasse a ridosso del 3% nel rapporto deficit/pil». Ipotesi per nulla remota. Se si verificherà, le aziende dovranno aspettare ancora. Aziende che, ha osservato proprio ieri l'Fmi, subiscono sempre più l'ampliamento dello spread che «si trasmette rapidamente» sulle condizioni di finanziamento, soprattutto delle più piccole.
Ieri il governo ha incontrato i rappresentanti dell'Anci sulla Tares. La nuova tassa - ha garantito l'esecutivo ai sindaci - slitterà a dicembre. Si pagherà, insomma, solo la parte della tassa che va allo Stato. Gli enti locali aspetteranno un altro anno. Da decidere un possibile rinvio dell'aumento dell'Iva che scatterà in estate. Serve «la volonta politica», ha spiegato Grilli.

Come dire, un governo forte.

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