RomaUtopia? Idealismo? Demagogia? Dai, chiamiamolo per quello che è: un bluff. «Via i partiti dalla Rai», strilla Antonio Di Pietro, che propone una sorta di antistorica sovietizzazione dellazienda televisiva di Stato. «Vogliamo uninformazione che non dipenda dai partiti e che sia plurale, trasparente e per tutti», gigioneggia il presidente dellItalia dei Valori, preparando il terreno alla proposta-shock: «I membri del consiglio di amministrazione dovrebbero essere nominati dallassemblea dei giornalisti e dai professionisti dellazienda».
Bum. Una bella sparata. Ma a salve. Per molti motivi. Perché è sospetto il momento, proprio mentre a sinistra si grida al bavaglio «politico» per la Gabanelli, per Santoro, per Fazio, perfino per Benigni. Perché è quanto meno inopportuno il luogo, una trasmissione di Sky - uno dei principali concorrenti dellazienda di viale Mazzini - che incassa il non richiesto «aiutino» e porta a casa. Perché è banalmente chiara la motivazione: «Il controllato non può scegliere il suo controllore», argomenta lex magistrato, che naturalmente allude a Silvio Berlusconi, per il quale nutre evidentemente una sindrome ossessivo-compulsiva. Lo dimostra il fatto che mai lex eroe di Tangentopoli si era preoccupato, quando al governo cera il centrosinistra, di quanto i tentacoli della piovra partitica si allungassero su Mamma Rai. Insomma, come al solito una propaganda ad personam.
Fatto sta che Di Pietro-Alice sogna il Paese delle meraviglie dimenticando sessantanni di scomodo ma inevitabile utilizzo del manuale Cencelli nei corridoi di Viale Mazzini. «Bisogna tenere fuori i partiti dalla Rai - invoca il tribuno molisano a Sky Caffè - i dirigenti del servizio pubblico infatti non possono essere nominati dalla politica, perché il controllato non può scegliere il suo controllore». Per rafforzare le sue tesi naturalmente Di Pietro decanta il suo partito come quello «lavato più bianco»: «LItalia dei Valori - si vanta - è lunico partito che si è rifiutato di partecipare al gioco sporco della lottizzazione e della spartizione della Rai. Ma dentro al Parlamento esiste una lottizzazione trasversale che si è appropriata dellinformazione pubblica in cui ognuno porta avanti il proprio punto di vista».
Da qui lidea di una Rai i cui vertici siano scelti dal basso. Tutto il potere ai soviet. Proposta populista, gesto teatrale studiato per strappare lapplauso. Che però, povero Tonino, non arriva. Di Pietro rilascia le sue dichiarazioni allora del cappuccino e cornetto e attende fiducioso per tutta la giornata che qualcuno si associ al suo carro. Ma nisba. Anche a sinistra tutto tace, forse perché anche il Pd partecipa allegramente alla spartizione della Rai e si bea - nel frattempo - di Santoro, Dandini, Floris, Travaglio, Gabanelli e di tutti gli idoli della telesinistra sempre pronti a urlare alla censura ma poi inesorabilmente davanti alla lucina rossa della telecamera accesa.
Naturalmente la tribunetta satellitare viene sfruttata da Di Pietro anche per qualche altro slogan di pronta digeribilità: «LItalia è ferma perché il governo non sta facendo nulla in materia di occupazione e lavoro. Da mesi discutiamo soltanto dei processi e degli affari di Berlusconi e dei suoi amici. Quandè che ci occupiamo dei cittadini e della grave crisi economica che attanaglia il Paese?».
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