
- Non c’è niente di peggio dei giornalisti che, in occasione dell’Eurovision, si trasformano in tifosi sfegatati dell’italiano di turno. Lucio Corsi è bravissimo. Ma non è che lo show al contest europeo sia stato poi così straordinario o diverso rispetto a Sanremo. La canzone è bella, lui canta abbastanza bene, carina l’idea di suonare l’armonica al microfono. E fine.
- Per dire il balletto di Tommy Cash su “Espresso Macchiato” è stato simpatico, almeno.
- Comunque “Tutta l’Italia” di Gabry Ponte è, nel suo genere, un capolavoro. Certo che fa strano vedere un video-show elogiare il Belpaese all’Eurovision portato in gara di un cantante che… concorre per San Marino. Mah.
- Viva l’aereo privato di Ursula von der Leyen. Lo scrivo senza ipocrisie: la presidente della Commissione Ue deve risparmiare tempo e viaggiare rapidamente da un posto all’altro. I problemi semmai sono altri. Primo: chi chiede ai propri cittadini di viaggiare in auto elettrica, cambiare il proprio mezzo, modificare le proprie abitudini, non può affidarsi a jet privati. È questione di coerenza. Secondo: ma che bisogno c’è che la Presidente della Commissione Ue partecipi ad un evento dedicato al 75esimo anno della dichiarazione di Schuman? Terzo: non sarà arrivato il momento di chiudere una delle due sedi dell’Europarlamento?
- Bisogna leggere Mattia Feltri sulla Stampa per capire la follia del Tap. La famosissima inchiesta sul gasdotto, infatti, come preventivatile, è finita nel nulla. Tutti assolti. Niente deturpamento di bellezze naturali o inquinamento ambientale. Intanto però: carriere rovinate, Movimento Cinque Stelle che ha banchettato politicamente sull’opposizione all’opera, Michele Emiliano che manco ti dico, eccetera eccetera eccetera. E adesso dieci anni dopo la spiaggia è ancora lì, gli ulivi anche e il gas arriva. Siamo un popolo di cialtroni.
- Il caso De Maria, con una donna morta ammazzata e un altro che s’è salvato per miracolo, è già quasi scomparso dai quotidiani che contano. Intendo a livello di analisi e commenti, non di cronaca. Eppure ci sono ancora un sacco di questioni da risolvere: perché è stato dato il via libera al lavoro? Perché dopo solo 5 anni? Chi non si è accorto che ci sarebbe potuto ricascare? Non parliamo di cosette da niente, ma della vita di una donna. C'è qualcosa che non torna: perché v’indigna di meno, questo femminicidio.
- Torno a ripetere, sul caso di Garlasco e Chiara Poggi. Non so se, come sostiene la famiglia della vittima, la procura stia “inseguendo ipotesi stravaganti”. Ma davvero pensiamo che a così tanti anni dal delitto, fatta salva una confessione piena di un ipotetico sconosciuto killer, si possa arrivare a una condanna “oltre ogni ragionevole dubbio”? Esiste un “ragionevole dubbio” grande come una casa: come pensate di poter condannare Sempio al carcere se avete dichiarato colpevole un altro fino a oggi? Dimentichiamo tutto? Questa non è neppure giustizia spettacolo. È uno scandalo.
- Robert De Niro dice: “L’arte fa paura ai fascisti”. Per smentire questa idiozia basterebbe far vedere al famoso attore l’architettura del Ventennio, pure quella arte. Ha detto una scemenza. Fine. Non vale manco la pena commentarla.
- Sapete perché a Emanuele De Maria, il detenuto accusato di aver ucciso la collega a Milano, era stato permesso di lavorare fuori dal carcere nonostante fosse un killer condannato in via definitiva? Tutto nasce da una relazione redatta nel 2023 su De Maria, che - ricordiamolo - era dietro le sbarre non per aver rubato le caramelle ma per aver ammazzato a colpi di coltello una donna nel 2016. Nel documento, firmate dagli specialisti del settore, psicologi ed educatori, viene descritto come "una persona collaborativa" che "non presenta segni di squilibrio” e "consapevole del danno commesso”, inoltre aveva iniziato a studiare e aveva dato anche due esami universitari. La relazione gli aveva permesso di ottenere l’articolo 21, ovvero la possibilità di uscire tutti i giorni dal carcere, prendere la metro, svolgere un lavoro retribuito e quindi tornare a dormire a Bollate. Relazione confermata da un documento successivo, di metà del 2024, nel quale l'uomo viene descritto come "benvoluto dai colleghi", "elogiato dal datore di lavoro" capace di instaurare “relazioni amicali con i colleghi" e con la povera Chamila, "donna che vedeva come punto di riferimento". C’è chi sostiene che “in astratto” le istituzioni abbiano solo messo in atto “l’obiettivo più nobile del carcere”, ovvero “la rieducazione” del criminale e che poi sia solo “tutto deragliato”. Quasi parlassimo di un errore di percorso. No. Sta proprio qui il problema. “L’obiettivo più nobile del carcere” non lo troviamo solo nella rieducazione. Prima di tutto il carcere deve: a) garantire giustizia alle vittime e alle loro famiglie, che hanno il diritto di vedere gli assassini dei propri parenti scontare la pena dietro le sbarre; b) assicurare alla società che chi ha violato le norme del vivere civile non ci caschi di nuovo. Non c’entra nulla il giustizialismo, visto che parliamo di condanne passate in giudicato. Quel che è certo è che non possono bastare cinque anni dietro le sbarre per espiare un omicidio e tranquillizzare la società. Infatti s’è visto come è andata a finire.
- Così, giusto per dire: Roberto Fiesoli, “profeta” della setta del Forteto, condannato a 14 anni di carcere per maltrattamenti e abusi, è entrato in galera nel novembre del 2019 e nel 2023 era già fuori. Per motivi di salute. Sacrosanto, ma cribbio: possibile che in carcere non ci stia proprio nessuno?
- Riccardo Magi si veste da fantasma alla Camera ma nessuno, ne sono certo, domani criticherà con dotti editoriali la pagliacciata del secolo. Perché se la fanno i grillini o la destra, apriti cielo. Ma se a vestirsi di ridicolo è Magi… Vi ricordate che Lilly Gruber disse a Salvini che non poteva andare in spiaggia in costume? Ecco. Chissà cosa dirà oggi (spoiler: credo niente).
- Oggi sono 25 anni dall’ultimo scudetto della Lazio. Va bene. Se non siete laziali sarà forse inutile spiegarvelo. Ma immaginate le emozioni del Mondiale in Germania. Immaginate il giorno del vostro matrimonio. E moltiplicate tutto per tre. Chi scrive è perugino de Perugia. Avevo otto anni. Dovete perdonare il racconto in prima persona, ma certe emozioni si possono raccontare solo così. Quel giorno avevo il biglietto per andare a vedere quel Perugia-Juventus che, tutti ne erano convinti, avrebbe consegnato lo scudetto agli odiati bianconeri. Per non subire l’ennesima delusione dopo quella dell’anno precedente, decido però di cedere il posto a uno degli innumerevoli fratelli per accompagnare quella sorella juventina sfegatata che già pregustava l’ennesimo sfottò. La Lazio vince a Roma, tre a zero. C’è il sole. Ma fuori dalla finestra diluvia. A Perugia la partita si ferma insieme al tempo: l’eterna, infinita, seconda frazione di gioco. I ricordi vanno per immagini, riviste in seguito. Collina con il pallone in mano. Le pozzanghere. La pioggia. E poi Antonio Conte che rinvia, Calori, il tiro. Gol. Mi sono perso tutto. Mentre a qualche chilometro da casa mia si scriveva la storia io me ne stavo rinchiuso in un armadio convinto dall’innata scaramanzia che se avessi ascoltato anche solo un minuto di quella partita, ad un certo punto la Juve avrebbe segnato, Ancelotti avrebbe esultato, Del Piero avrebbe vinto il suo ennesimo scudetto. E mia sorella infierito. È il paradosso di aver vissuto un evento senza averlo vissuto, di scoprirlo solo a cose fatte come quel soldato giapponese che si rifiutava di credere che la guerra fosse davvero finita. Sono le 18.04 del 14 maggio del 2000: la Lazio è Campione d’Italia. Si certo: poi il fallimento, i soldi finti, il crac, la Coppa Italia vinta contro la Roma, i derby. Ma non c’è niente che eguagli quel ricordo. Lacrime. Lacrime e basta. Avevo chiesto a mio padre di portarmi a Roma per festeggiare. Ma avevo otto anni, lo capisco, sarebbe stato pericoloso.
“Il prossimo scudetto ti porto”, mi promise. Sono 25 anni che aspetto. Ma in fondo i miracoli, quelli veri, capitano una volta sola.- Un grandissimo Bologna, che ormai è qualcosa in più della meteora di un anno. Complimenti alla società.
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