La questione della sinistra e dei suoi rapporti con la finanza è una farsa. Ieri abbiamo ricordato come i soldi non puzzino anche se provenienti dal Liechtenstein e siano ripuliti grazie allo scudo di Tremonti se servono a salvare l'Unità. I soldi dei capitani coraggiosi che scalarono Telecom alla fine degli anni 90 erano i benvenuti dall'allora premier Massimo D'Alema, anche se una parte di queste risorse arrivava dall'Oak Fund dei Magnoni, basato, pensate un po', alle Cayman. La finanza ha sempre avuto un debole per la sinistra. Evidentemente sempre corrisposto. Nessuno ha alzato il sopracciglio alle primarie di Romano Prodi del 2005. Tutti zitti. Vi rinfreschiamo la memoria sulle file che si era formate davanti ai gazebo. C'era Gianni Bazoli, il grande vecchio della finanza italiana, leader indiscusso di Banca Intesa e padre nobile del patto di sindacato del Corriere della Sera. E poi c'erano i giovani leoni. Tutti e due in fila per Prodi. Corrado Passera e Alessandro Profumo, all'epoca amministratori delegati di Banca Intesa e Unicredit. Accomunati, per rimanere in tema fiscale, da una gigantesca evasione. O meglio, così l'ha ritenuta l'Agenzia delle Entrate che ha preteso e ottenuto dalle due banche rappresentate dai nostri una somma complessiva vicina ai 500 milioni per imposte non pagate. Altro che Serra. Ma la lista del 2005 non finisce qui. In coda Luigi Abete della Bnl, Guido Rossi, l'avvocato che denuncia oggi gli eccessi della finanza, ma grazie a essa si permette una collezione d'arte da brivido. All'epoca delle primarie era consulente degli olandesi di Abn Amro per la scalata di Antonveneta. Che poi finì all'Mps, con tutti gli strascichi giudiziari che stanno venendo fuori.
In fila Luigi Spaventa, che come Rossi, aveva presieduto la Consob ed ex presidente del Monte dei Paschi. E poi il giro dell'Unipol: Sacchetti, Consorte, Poletti.Renzi è proprio un ragazzino. Impari dai suoi padri. In finanza si «tresca» con i padroni, che hanno giornali e banche. Non con i loro clienti.
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