Da noi la politica e la burocrazia - soprattutto certa politica e certa burocrazia- hanno in orrore la fretta. Infatti, in Sicilia e a Catanzaro erano ancora in corso ieri - con lo scopo d’arrivare all’annuncio dei risultati elettorali di domenica e lunedì scorsi- analisi procedurali e matematiche al cui confronto i testi di diritto dall’antichità a oggi e la teoria della relatività di Einstein sono roba da ateneo della terza età.
Sul chi e come e con quanti voti abbia vinto nelle amministrative si sono arrovellati, al di qua e al di là dello stretto, talenti straordinari. Degni, nella loro eccezionalità, d’altri talenti che hanno elaborato la nuova legge elettorale siciliana; la cui interpretazione, per evitare atti di disperazione, dovrebbe essere affidata alla Sibilla cumana o, in epoca più vicina a noi, al mago Otelma.
Non mi azzardo a spiegare i termini della questione catanzarese e della questione siciliana perché anche una sintesi tacitiana occuperebbe una pagina. Mi limito a una considerazione: il pasticcio calabro-siculo ha tutti gli accessori e tutte le ritualità che da tempo immemorabile queste vicende comportano. Ricorsi di candidati; mobilitazione della magistratura, delle prefetture, dei sindaci, degli assessorati; alate perorazioni di personaggi coinvolti. Cito: «Credo che la città di Catanzaro sia profondamente indignata e che ci sia un problema di immagine e di destino stesso della città in termini di democrazia e di civiltà al suo interno».
Sì, un problema di immagine esiste. Lo riconoscono, magari con linguaggio retorico, indignados d’ogni colore politico, zittiti dai notabili. A quanto m’è sembrato di capire il nodo dell’affaire catanzarese sta in una sezione, la 85. Basta quella per bloccare un ingranaggio gigantesco.
Si celebrano così,un’ennesima volta,i fasti- anzi i nefasti- di quella Italia che non è la patria del diritto, è al più la patria del cavillo.
Possiamo metterci, voi che leggete e io che scrivo, nello schieramento degli indignados .
Le ultime amministrative hanno terremotato il quadro politico, ma certa ignavia e certa incapacità burocratica le hanno lasciate intatte. Ci piaccia o no- infatti non ci piace- dobbiamo subire le rugginosità, che spesso diventano iniquità, di procedure cambiate sovente, ma sempre in peggio.
A questo punto sono perplesso. Non so se nel nome del politicamente corretto sia opportuno ignorare, nella critica alle lentezze, alle incertezze, alla confusione, un dato evidente: come di solito accade quando emerge questo tipo di disfunzione, si scopre che la loro radice è al Sud. Ritenendosi maltrattata prima dai piemontesi e poi dallo Stato centrale, la Sicilia ha voluto fare da sé, accumulando una impressionante serie di primati negativi. Da sé ha anche voluto varare una nuova legge elettorale che alla prima importante esperienza si è rivelata catastrofica.
Mi si accuserà di mutuare queste argomentazioni dal repertorio propagandistico della Lega in un momento che la vede in preda al marasma. Ma capitava che i leghisti fossero, nella loro rozzezza, persuasivi.
Non si tratta, badate bene, di valutazioni denigratorie degli individui. L’apparato pubblico è, al nord come al centro e come al sud, nelle mani di personale prevalentemente meridionale. Ai meridionali sono affidate le strutture pubbliche sia a Como sia a Catanzaro. Sennonché a Como la macchina conta voti funziona, a Catanzaro o in Sicilia s’inceppa. S’inceppa benché la diluizione del voto in due giorni non lodevole peculiarità italiana - consenta di prendersela comoda.
Non gli individui ma un ambiente, un costume o, per usare una parola grossa, una cultura sono all’origine
di differenze altrimenti inspiegabili. È necessario che gli «Azzeccagarbugli» d’Italia siano tenuti lontano da ogni pratica pubblica. Purtroppo avviene che gli «Azzeccagarbugli » facciano le leggi e poi le interpretino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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