Politica

Quel sogno della "Fase 2" che non arriva mai

Da Prodi nel 1997 a Monti fino a Enrico: la svolta che resta solo annunciata

L'ex premier Mario Monti
L'ex premier Mario Monti

Roma - Si riparte, finalmente. Un «nuovo inizio con obbiettivi realizzabili e tempi certi», garantisce Letta il Giovane. Quando? Hic et nunc: qui e ora. Anzi, subito. Cioè, domani. Precisamente: da gennaio. Vale a dire, nel 2014. Ecco fatto ed ecco tutto: «ce la faremo». La fiducia al governo che «segna anche formalmente una discontinuità» e servirà a «distinguere per bene tra un prima e un dopo», dove il dopo, va da sé, parte avvantaggiato sul prima: se non proprio radioso, sarà di sicuro molto meglio. Benvenuto «nuovo patto di governo», allora, che Letta vuole chiamare, «da oggi (cioè da ieri) impegno 2014». Ripido turbinio di parole per aggiornare il sempiterno vocabolario della politica e ribattezzare una celeberrima ma forse anche ormai logora «fase due» di Palazzo Chigi. Quello che è stato impossibile ieri diventa fattibile domani, ma a patto che resti domani. E la rivoluzione dei sogni della sinistra, oggi persino patrimonio dei «forconi», lascia il passo alla chimera del «secondo tempo». Oggi la memoria non è molto in voga, ma chi può dimenticare l'impareggiabile «fase due» annunciata dal primo governo Prodi? Correva l'anno di grazia 1997, e a dispetto delle memorie benevole che tutto resettano, tranne i sogni e le speranze, il primo esecutivo dell'Ulivo, Veltroni vicepremier, batteva la fiacca. Dall'esterno appoggiava Rifondazione, e non passava giorno che alle pressanti richieste del Paese, al marcamento stretto di Bertinotti, Prodi non rispondesse che bisognava tener duro, e si sarebbe passati presto e bene alla «fase due», quella del Bengodi. Erano anni delle vacche grasse, visti con il senno del poi, eppure la «fase due» restò impalpabile e, dopo un anno di rosari, il Prof andò a dir messa in casa. Impallinato, si disse, da D'Alema (che ancora nega), Bertinotti e Marini. La «fase due» però non sarebbe affatto decaduta, risorgendo come fiume carsico nei governi Berlusconi, a segnare ogni volta distinguo e resistenze del duo Casini-Fini. Menzione speciale merita invece Mario Monti, capace di far assurgere la «fase due» all'eterea dimensione del riscatto, della svolta, del paradiso delle urì. Imperversava lo spread, la crisi nera che ancora morde nei polpacci, e il funereo Montimer cercava un motto di speranza. «Vedo una luce in fondo al tunnel», ebbe a dire per non ripetere «fase due». Sì: la luce del treno che ci sta per investire, fu zittito. Così ora tocca fare gli scongiuri per Letta e i suoi tempi biblici, il suo laico tirare a campare. «Non avete capito, non è che vado avanti di sette mesi in sette mesi e si ricomincia con il timing dei 18 mesi, sarebbe divertente», è costretto a precisare Letta il Futuribile. Divertente magari per lui, non per il Paese al lumicino, dove le sue stime di crescita sono definite «ottimistiche» dal nuovo responsabile economico pidino Taddei. Con la Bindi che dice a Renzi «dura minga» e Calderoli che pronostica «dura quanto un gatto sull'Aurelia».

Fase due al Creatore.

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