RomaNon era mai successo, dicono i veterani di via Bellerio. Mai successo che Bossi lasciasse la segreteria politica della Lega e gli altri restassero lì, per più di unora, a discutere sul da farsi. Un segno di stanchezza del capo (che nel martedì del Belsito-gate è arrivato a pronunciare la frase «mi dimetto») o un semplice caso? Quattro ore in tutto, clima pesante, ferita sanguinante che sarà lunga rimarginare... Con Rosy Mauro furiosa, che si è fatta sentire anche dal piano sotto mentre urlava: «querelo tutti, querelo tutti!». Anche Maroni, che pure dal terremoto esce rafforzato nella sua battaglia per la glasnost padana, appare nervoso, pensieroso. Roberto Maroni, tra i capi, è quello che ha preso più le distanze dal tesoriere, uno dei pochi che non ha agitato sospetti di complotti o di giustizia a orologeria per linchiesta delle tre procure sui conti della Lega. Anzi, ieri sulla sua pagina Facebook ha rilanciato loperazione pulizia: «Chi ha tradito la fiducia dei militanti deve essere cacciato, senza guardare in faccia a nessuno». Il che può anche essere letto così: via chi sbaglia, anche se ha un cognome pesante dentro la Lega. Quindi uno smarcamento dalla difesa «a prescindere» che nel Carroccio fanno di Belsito e della famiglia Bossi. E infatti gli altri, quelli del «cerchio magico», non concordano con gli appelli maroniani alla pulizia interna (e sospettano di Maroni, come fa capire uno di famiglia dai Bossi, il senatore Giuseppe Leoni: «Maroni vuole pulizia? Cominciamo dai traditori... Su Bossi metto la mano sul fuoco»). La loro linea è quella scritta sui titoli della Padania, organo ufficiale. Cioè: inventano accuse alla Lega perché è nemica dei poteri forti. Uno slogan buono per altre inchieste, meno stavolta. Come pensano molte sezioni lombarde della Lega, fedeli a Maroni, che si stanno organizzando per un obiettivo: il congresso federale entro lestate, quindi una conta su Umberto Bossi, considerato estraneo alle malversazioni, vittima, ma troppo vecchio per tenere tutto troppo controllo. Il pensiero sulla successione di Bossi, dopo questa mazzata, è ancora più concreto. Tanto che si racconta di un incontro, nella villa di Gemonio, tra la moglie di Bossi (leader ombra della Lega) e il «nemico» Roberto Maroni, a fine marzo. Un faccia a faccia richiesto dalla Marrone, per avere garanzie sul futuro del Trota, che ultimamente dice di sentirsi isolato nella Lega, accerchiato. Figuriamoci se il padre non fosse più il capo supremo...
Ad ogni modo, nella segreteria politica si è analizzata la situazione, le accuse al tesoriere, le ricadute elettorali che questa brutta storia potrà avere alle amministrative, tra solo un mese. Poi si è discusso sulla nomina del nuovo tesoriere, quello che dovrà ereditare la contabilità allegra di Belsito e ridare credibilità alle finanze della Lega nord. I nomi che ballano sono due. Il primo è Roberto Castelli, vecchia guardia e attuale amministratore del Carroccio. Il secondo è Bruno Caparini, uno dei fondatori del Carroccio, amico di famiglia di Bossi e padre del deputato Davide. La quadra non si è trovata, la decisione è rimandata ad oggi, nel consiglio federale convocato per il pomeriggio.
Nessuna dichiarazione ufficiale dei colonnelli, a parte Maroni. Neanche una parola soprattutto da Roberto Calderoli, numero due della Lega. Nelle intercettazioni cè anche lui (come pure Maroni), ascoltato in alcune conversazioni telefoniche con Belsito, che aveva il telefono sotto controllo. Il faccendiere Stefano Bonet, consulente finanziario di Belsito (e già socio di Brancher, molto legato a Calderoli), era già finito nellinchiesta Credieuronord, vicenda che lex ministro bergamasco ha seguito molto da vicino.
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