Quella rabbia genuina che la sinistra non capisce

Il movimento fuori dalle etichette "politically correct". L'intelligentia arriccia il naso anziché analizzare le ragioni del malcontento

Quella rabbia genuina che la sinistra non capisce

Non si sa come andrà a finire domani la marcia dei Forconi, calante su una Roma esausta dalla crisi natalizia e dall'overdose protestataria che sta stressando la capitale oltre ogni decenza. Non si sa chi parteciperà, quanti saranno, come scenderanno in piazza. A parte le scarne biografie dei leader e qualche istantanea piazzaiola, quello che colpisce è l'incapacità di intellettuali e giornalisti del variegato mondo della sinistra di fare i conti con questo fenomeno molto più ampio, profondo e potenzialmente dirompente rispetto a quello che oggi già circola per piazze, strade e autostrade. Come era logico aspettarsi, per rinchiudere i Forconi dentro la solita icona sanfedista e poujadista hanno ritirato fuori le categorie logore del radicalismo protestatario, del populismo, del popolino incazzato contro tutti e tutto a prescindere, del sobbollimento emotivo privo di una autentica piattaforma programmatica. Oppure sono andati per esclusione, nel senso che questa gente non crede ai partiti, alle associazioni, ai sindacati, a tutto ciò che nel Novecento serviva a mobilitare e irreggimentare le masse. E così ne esce fuori la descrizione di una massa grande, e – ripeto – potenzialmente grandissima, di cani sciolti che per ora hanno abbaiato senza mordere. Ma gli stessi Forconi, pur nella loro ovvia frammentazione, certamente non possiedono nulla, ma proprio nulla, di ciò che di solito associamo al movimentismo politically correct. La rabbia, il sentimento di esclusione, la percezione di una continua vessazione statale, e non il sol dell'avvenire, diventano il motore della protesta. Le dinamiche di questi giorni ci trasferiscono borborigmi e conati ribellistici che attengono più al mondo disordinato e rapsodico delle passioni individuali che a quello delle passioni collettive. Una mobilitazione di individui animati da interessi particolaristici e non di gruppi portatori di interessi generali, tanto per intenderci. E questa cosa alla sinistra culturale non va giù, le categorie di analisi non si trovano, le letture sfuggono di mano e si fanno cronache frettolose o allarmistiche (il fascismo piccolo-borghese, ovvio, è dietro l'angolo). È la stessa difficoltà di costruire una teoria per spiegare, quindici anni fa, l'esplosione del «popolo delle partite Iva» o il multiverso dei «padroncini», impoveriti ma non proletarizzati, lavoratori autonomi ma non borghesi, e così via.

La scelta di utilizzare la bandiera tricolore come simbolo della protesta, e rivendicare questa opzione come «rivoluzionaria», tanto per dire, rappresenta, non so quanto consapevolmente, un significativo salto in avanti, o altrove, del carattere di questa protesta. Che forse finirà mercoledì in un bicchier d'acqua fredda, o si trasferirà in altri luoghi, o rimarrà a covare sotto la cenere facendosi tizzone non appena accadrà qualcosa capace di scatenare di nuovo la collera di chi? Di una galassia che mette insieme tutti gli orfani del vecchio sistema di rappresentanza. Ed è ovvio che si tratta di persone disorientate, scoraggiate, che sentono i morsi della crisi senza trovare una via di uscita ragionevole o perlomeno – ed è questo il dato più importante – qualcuno a cui delegare i residui di speranza rimasti. Per questo il cosiddetto movimento dei Forconi non ha veri leader, e rimane un calderone dove ribolliscono passioni contraddittorie, dall'autotrasportatore proletarizzato all'ultras ribelle. Ma è una chiave narrativa straordinaria per aiutarci a capire cosa sta succedendo in Italia, oggi, anche in casa del famigerato «uomo comune» che non scende in piazza ma sotto sotto approva quello che accade per strada pur subendone i disagi. Tutto questo è molto lontano dal sindacalismo, dalle canoniche agitazioni studentesche, persino dal gruppettarismo, per non parlare dei partiti.

Se fossimo una nazione intelligente, forse già cominceremmo a chiederci qual è il male oscuro che i Forconi vogliono infilzare, anziché arricciare il naso o evocare spettri che attribuiscono al Forconismo la patente di impresentabilità. Il solito, vizio infantile della cultura di sinistra italiana: chi non è con me e come me, è brodaglia reazionaria. E stop.

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