Cronache

Quell'epidemia cafona chiamata zainetto

Non ci crederete ma l'ho visto perfino sulle spalle del neosindaco di Roma, Ignazio Marino. Che tragedia

Quell'epidemia cafona chiamata zainetto

Non avrei mai osato affrontare questo argomento spinoso, ma sono obbligato a farlo perché la situazione sta precipitando. Mi riferisco alla diffusione ormai a livello epidemico dello zainetto. Non ci crederete ma l'ho visto perfino sulle spalle del neosindaco di Roma, Ignazio Marino. Che tragedia. Già il fatto che un medico importante, il quale si è addirittura occupato di trapianti non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, abbandoni la chirurgia - la scienza! - per dedicarsi alla politica è uno scandalo uguale a quello di Silvio Berlusconi - caso limite - trasferitosi dal Biscione al nido di vipere del Parlamento, dove è stato ridotto a cencio.

Non bastasse questo triplo salto mortale, Marino si è immolato al Campidoglio assumendosi la responsabilità di governare la capitale senza avere in cassa il becco di un quattrino. Ce ne sarebbe d'avanzo per essere oppresso da pensieri cupi, inclusa l'ipotesi di un suicidio. Invece il dottor Ignazio, nonostante queste premesse da brivido, ostenta buon umore e sorrisi per la gioia dei paparazzi, che lo ritraggono mentre pedala felice sulla sua bicicletta, naturalmente rossa (colore che forse gli ricorda il sangue sul tavolo operatorio).

Tutto ciò è ancora niente se paragonato allo zainetto obbrobrioso che ormai spicca nel suo nuovo look. Un sindaco conciato così non si era mai visto nel mondo occidentale. Fa impressione. Abituati come eravamo alle borse stile diplomatico, dalle quali i politici non si separavano che nottetempo, suscita in noi raccapriccio constatare che il primo cittadino di Roma, oltre al velocipede, usi il succitato zainetto, adatto agli alunni delle elementari, ai teenager in gita scolastica, ma sconveniente, antiestetico, massì, ridicolo se abbinato alla schiena istituzionale di un'autorità elettiva.

Eppure non è l'unico, il nostro Ignazio, a illudersi di ringiovanire con quel coso che, per effetto delle pedalate, gli sbatte sulle scapole.
Anche alla Camera e al Senato vari rappresentanti del popolo, allo scopo di segnalare alla base di esserle vicini, adottano lo zainetto in sostituzione della tradizionale ventiquattrore. Alcuni (e alcune) lo arricchiscono con ciondoli e adesivi variopinti e raffiguranti coniglietti, ochette, scimmie eccetera. Sono persuasi, in questo modo, di darsi un tocco di adolescenziale allegria. In realtà, fanno pena. Vi sono signore che in quella sorta di bisaccia di origine militaresca mettono le scarpe col tacco da calzare in aula in luogo di quelle da ginnastica, utili per camminare sui sampietrini durante il tragitto da casa al Palazzo e viceversa.

Tralasciamo ogni valutazione di tipo igienico. Segnaliamo piuttosto che lo zainetto raggiunge il vertice della volgarità in quanto costituisce una forma evoluta dell'orribile borsello, in voga negli anni Settanta, e poi del marsupio, che pure sfiorava (sfiora) vette di cafoneria inimmaginabili.

Inutile dire che una persona elegante, piuttosto che convertirsi allo zainetto, del quale si ignorano, scarpe a parte, i contenuti, si farebbe lapidare in piazza del Parlamento dai grillini ortodossi.

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