QUID O MORTE

Dopo la botta in Sicilia Alfano annuncia le primarie. Il 76% degli elettori si schiera con l’anti-politica. Inutile vittoria del Pd che per governare dovrà inciuciare

Non è andata bene, e questo si sapeva. Ma in Sicilia la ca­duta del Pdl non ha superato, se pur di poco, il pun­to di non ritorno, cosa che era nel novero delle possibilità. At­taccandosi all’aritmetica, e al netto dell’astensione record, la somma delle percentuali ot­tenute dai partiti e movimenti riconducibili al vecchio centro­destra (oggi divisi da faide di partito) perde meno di quanto abbia lasciato sul campo il cen­trosinistra che ha vinto grazie al fatto che si è presentato uni­to. Ma questi sono ragiona­menti da esperti, direi da mani­aci, che lasciano il tempo che trovano. Il fatto è che anche in Sicilia si ammaina la bandiera senza per altro issarne una de­stinata a sventolare a lungo per la fragilità dei vincitori.

Angelino Alfano, rompendo un silenzio di due giorni, accet­ta la sconfitta e guarda avanti. Dopo lo strappo di sabato sulla linea ufficiale del partito, qua­si una sconfessione, Berlusco­ni gli rinnova (pur senza appa­rire) la fiducia, un po’ come sta succedendo per Allegri, l’alle­natore del Milan che non rie­sce più a vincere. E lui, Alfano, non rompe, si toglie un sassoli­no dalla scarpa («Il via libera al governo Monti l’ha dato il Ca­valiere »), fa suoi con inedita forza alcuni temi cari all’ex pre­mier ( giustizia, Europa germa­no- centrica, mani libere sulle alleanze) e annuncia di punta­re tutto sulle primarie di parti­to per una definitiva legittima­zione. Sono testimone che i rappor­ti personali tra Alfano e Berlu­sconi restano affettuosi, ma il problema non è questo. Come dimostrano il successo di Gril­lo (trasportato a livello nazio­nale il voto di ieri varrebbe at­torno al 25 per cento) e la ma­rea di astensioni, gli elettori, anche quelli dormienti, si aspettano dal centrodestra pa­role d’ordine forti, chiare e fat­ti conseguenti. Non piace che la gerarchia di partito abbia co­me punto di riferimento Monti e Napolitano, sentire Maurizio Lupi dire al Tg3 che Berlusconi non comanda più e che il gover­no dei tecnici non si tocca è de­vastante, le frizioni tra una par­te di ex Forza Italia ed ex An so­no praticamente irrecuperabi­li, troppe le ambiguità sul ri­cambio degli uomini e sulla lot­ta ai privilegi e ai costi della Ca­sta.

Tutti questi nodi saranno sciolti dalle primarie di dicem­bre? Possibile, ma solo in par­te. Certificare i rapporti di for­za dentro il partito può essere utile per il futuro degli aspiran­ti leader, meno per i problemi dei cittadini. Comperare tem­po serve a poco. Il partito tutto, per dirla alla Berlusconi, o recu­pera quel «quid» che lo distin­gueva sul mercato elettorale o muore a prescindere da chi lo guiderà. Ben vengano le prima­rie, ma serve di più, molto di più, e il tempo stringe. E la stra­da, come si evince, non è quel­la di considerare Silvio Berlu­sconi come un pensionato.

Se ieri si è perso, non è certo per lo sfogo di sabato, parole chiare che semmai hanno evitato l’ir­reparabile, e neppure per il candidato, Nello Musumeci (semmai vittima di un sacrifi­cio annunciato). È che la gente non ha capito bene che cosa è oggi il Pdl, con chi vuole stare e che cosa vuole fare. Speriamo che il 16 dicembre, giorno di primarie, non sia troppo tardi.

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