Ieri, con una lettera, i vertici di Equitalia hanno raccomandato ai propri dipendenti di usare maggiore «sensibilità» e valutazioni «caso per caso» nell'esigere il dovuto dai contribuenti morosi. Bene. E forse sarebbe il caso di dire: finalmente. Non vorremmo apparire come coloro a cui non va mai bene niente. Ma ci si permetta di fare qualche breve considerazione critica.
1. È un tipico atteggiamento del sovrano, sia pure illuminato, quello di avere, in periodi di crisi, un lato compassionevole nei confronti dei sudditi. Il rapporto tra Stato e Contribuenti è dettato dal numero del codice fiscale e non da un sano rapporto di fiducia. Il problema non è tanto nella sensibilità dei funzionari, ma nelle leggi e regolamenti che li guidano. Non dipende certo da Equitalia, ma l'inversione dell'onere della prova in materia fiscale è una roba medievale, e discende da leggi e giurisprudenza consolidata.
2. Se il male dell'Italia, le sue scarse risorse finanziarie, deriva, come certa vulgata ci vuole fare intendere, dall'evasione fiscale, non si capisce da cosa dovrebbe discendere la rinnovata sensibilità operativa degli esattori. Perché non si ha coraggio di dire che negli ultimi anni abbiamo costruito un mostro ideologico (se tutti pagassero, non avremmo bisogno di maggiori tasse) che ci è scappato di mano?
3. Basta farsi un giro tra i manager delle grandi multinazionali e si coglie uno degli aspetti per i quali scappano dall'Italia. Più che il livello di fiscalità (certamente alto) c'è una totale incertezza del diritto. E in materia fiscale è a livelli parossistici. Ciò che tre anni fa era lecito, oggi, grazie a una circolare ministeriale, potrebbe non esserlo più. Quale grande imprenditore si azzarda a investire sapendo di potere subire nel futuro una grana fiscale per regole nel frattempo cambiate e inasprite?
Ringraziamo Equitalia. Ma la propaganda si scontra con una realtà che sarà difficile far dimenticare.
Signorini a pagina 9
di Nicola Porro
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