T oni rassicuranti, dichiarazioni concilianti che si trasformano in stilettate a danno degli sventurati che gli intralciano il passo. A volere essere maligni, un democristiano del quarto millennio. Oppure Matteo Renzi è l'unico politico, oltre a Silvio Berlusconi, ad avere il coraggio di mantenere lo stesso stile in Italia e all'estero. Il suo primo Consiglio europeo è finito con una lunga conferenza stampa che il premier ha usato per regolare molti conti aperti, a Bruxelles come a Roma. Bastonate indirette a Manuel Barroso e Van Rompuy, la cui foto con gli eurosorrisini (copyright Daniele Capezzone) ha monopolizzato l'informazione. Tirata d'orecchie anche a Carlo Cottarelli, che sta facendo il lavoro sporco per lui, ma ha presentato la spending review senza passare prima per Palazzo Chigi. Ma le sue parole non hanno convinto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi: «Non si possono dare voti a Renzi - ha detto a Milano - deve ancora studiare e rispondere alle interrogazioni...». Poi l'affondo: «Il quartier generale della Mapei? Se mi fanno aspettare cinque o sei anni a Milano me ne vado in Svizzera».
Certo, Renzi la sua conferenza stampa l'ha preparata con cura. In tarda mattinata lo staff del premier si precipita nella sala del palazzone che ospita il Consiglio europeo e cambia il layout. Al posto del tavolone dei relatori compare un podio monoposto in plexiglas, con logo della presidenza del Consiglio. La giornata del premier era iniziata molto prima. Poco dopo le sei il primo tweet con mini gaffe; confonde il Consiglio europeo con il Consiglio d'Europa, che è un'organizzazione che promuove i diritti umani. Poco dopo vede il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy, con la soddisfazione di arrivare prima del politico belga. «Abbiamo parlato del semestre europeo». Van Rompuy, spiega, avrà un ruolo fondamentale e l'Italia lavorerà insieme a lui, anche in considerazione del fatto che «scade a novembre». Renzi fa più volte cenno alla scadenza dei mandati a Bruxelles. Anche di quelli della Commissione, che ha bloccato sul nascere qualsiasi pretesa italiana sul deficit (compreso un via libera alla spesa fino al 2,8% di deficit) e sull'utilizzo dei fondi europei (la parte cofinanziata dall'Italia fuori dal Patto di stabilità). Non c'è «nessun conflitto» con l'esecutivo europeo, assicura. Ma nessuno gli crede. Infatti aggiunge: «Noi non siamo in competizione, noi siamo una parte fondamentale dell'Europa. Non veniamo qui a prendere ordini, si chiama Commissione ma non è una commissione d'esame. Noi rispettiamo tutte le regole del gioco, ma non andiamo con il cappello in mano» a Bruxelles.
Il messaggio è chiaro. La Commissione vigila sul rispetto delle regole, ma le regole le fanno i governi e tra poco ci saranno elezioni e un nuovo esecutivo Ue. Servono «persone più forti, a tutti i livelli c'è un problema di qualità». Chiara bocciatura dei vertici Ue uscenti. Renzi salva il commissario italiano Antonio Tajani, che «ha fatto un buon lavoro in Europa», (sulla politica industriale, durante il consiglio, il premier ha fatto proprie diverse misure sull'industria realizzate dall'esponente di Forza Italia) poi però fa un ritratto di un possibile membro italiano della Commissione (ammesso che ci sia) che sembra molto quello di Enrico Letta.
Brucia l'impatto mediatico avuto dall'immagine di Barroso e Van Rompuy che sorridono a una domanda sull'idea italiana di un limite al 3% che non sia una camicia di forza. Dice che le ricostruzioni sono state «fuori dalla realtà». Lo stesso Van Rompuy in mattinata aveva smentito l'interpretazione di quei sorrisi che erano, in realtà, dovuti solo all'indecisione su chi avrebbe risposto. Ma Renzi non rinuncia all'affondo: «Mi fa piacere che sorridano, anche io voglio fare sorridere le famiglie italiane».
Rimbalzano le polemiche italiane. La spending review di Cottarelli? «Su alcune cose non sono molto convinto». Bocciato il taglio delle pensioni, «un errore». Invece sul taglio dei consumi intermedi della pubblica amministrazione «si può fare di più». Poi ci sono cose da spiegare meglio, come il taglio alle forze di polizia.
Poi una domanda che i giornalisti non fanno, ma che il premier «sentiva nell'aria» (in realtà un suggerimento del suo consigliere per la comunicazione Filippo Sensi). Il suo nome dentro il simbolo del Pd alle elezioni europee non ci sarà.
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