RomaTravolta dal brutto pasticcio degli esodati, la questione dei contributi pensionistici «silenti» è rimasta, per l'appunto, a lungo silente. Ma adesso rischia di deflagrare, e si tratta di una bomba assai più devastante, tanto da mettere l'Inps a rischio fallimento. Il direttore generale dell'Inps Mauro Nori, intervistato da Italia Oggi, ammette infatti che il problema coinvolge «diversi milioni di persone»: cittadini che hanno versato magari decine di migliaia di euro di contributi previdenziali, ma che la pensione non la vedranno mai.
La questione dei contributi silenti non nasce oggi. Ma la riforma Fornero l'ha resa, se possibile, ancora più ingiusta. In breve: la legge prevede che dal 1° gennaio 2012 debbano essere versati almeno 20 anni di contributi per ottenere la pensione. Una norma che colpisce in particolare i giovani che lavorano con contratti a progetto o a termine, magari con lunghi periodi di disoccupazione fra l'uno e l'altro; le donne, che spesso intervallano periodi di lavoro con pause - basti pensare alle maternità non protette - oppure con attività «in nero»; ex autonomi o professionisti con una vita lavorativa irregolare; stagionali agricoli, e così via. Chi non arriva al minimo di annualità contributive non ottiene la pensione, e perde tutto. Non può infatti richiedere la restituzione dei contributi versati.
Di fatto, l'Inps incassa e si tiene tutto. Perché non restituisce il maltolto? Perché, come ammette Nori, «in caso di restituzione di questi contributi, l'Inps rischierebbe il default; la questione - spiega - coinvolge diversi milioni di persone, di più non posso dire».
Così come i contributi, anche le dimensioni del problema sono «silenti». Italia Oggi ipotizza un costo di almeno 10 miliardi di euro. La gestione separata dell'Inps, alla quale versano i contributi i collaboratori e i professionisti senza cassa previdenziale, venditori a domicilio, gli autonomi occasionali e varie altre figure, incassa, secondo le ultime cifre disponibili, 8 miliardi l'anno e ne restituisce in pensioni solo 300mila.
La riforma Fornero, allungando il periodo di contribuzione, ha reso ancora più ingiusta l'ingiustizia. Per chi non raggiunge i requisiti minimi c'è la possibilità di versare contributi volontari (ma è molto costoso, perché si paga anche la quota del datore di lavoro, e dunque lo si può fare per qualche mese, e comunque è necessario far valere almeno 5 anni di contribuzione). Oppure «totalizzare», cioè cumulare, gli spezzoni contributivi. Ma nella maggior parte dei casi è impossibile arrivare ai vent'anni prescritti dalla riforma.
In questi casi sarebbe corretto restituire all'interessato i contributi versati. Ma l'Inps non lo fa, la legge glielo consente, e si tiene tutto. C'è però una categoria esentata dalla norma, i politici. I parlamentari, ma anche i consiglieri regionali, possono riprendersi quanto versato.
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