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La riforma Fornero va difesa: toglie ai vecchi per dare ai giovani

Il nuovo sistema pensionistico taglia la spesa pubblica Esodati? Gli altri lavoratori senza tutele sono migliaia

La riforma Fornero va difesa: toglie ai vecchi per dare ai giovani
Come su un pacchetto di sigarette occorre avvertire subito i lettori: questo articolo può nuocere gra­vemente alla salute degli ultras antigovernativi. Si intende dare ragione al ministro del Lavoro, Elsa Fornero. O me­glio, abbiamo intenzione di difendere la sua riforma pensionistica. E in una certa mi­sura (le critiche di Antonio Signorini nell’ar­ticolo all’interno reggono tutte) comprendiamo le ragioni per cui il sottosegretario Polillo ha proposto di ridurre le ferie per gli italiani. Le due cose, vedremo, sono legate (anche se i due si detestano). Ma andiamo per ordine. Il governo Monti ha fatto una sola vera riforma sino ad oggi: è quella sulle pensioni. E non si tratta di poca cosa. Essa è il più serio taglio della spesa pubblica fatto da alcuni anni a questa parte. Tutti si riempiono la bocca con la necessità dei tagli, e poi però, quan­do un governo prende le forbici (avvenne anche con quelli fatti da Tremonti che ven­nero definiti rozzi) apriti cielo. Ognuno ha una buona ragione per criticarli. L'Eco­nomist proprio questa settimana diceva: «Il problema con le pensioni è che esse so­no facili da promettere, ma difficili da fi­nanziare. E il costo di queste promesse non diventa chiaro se non dopo decenni, quando i politici apparentemente genero­si sono fuori gioco». Tagliare queste pro­messe diventa dunque impopolare.

Il grimaldello con il quale si vuole attac­care la riforma Fornero è quello degli eso­dati. Una nutrita pattuglia di dipendenti (si calcolano in 400mila, ma i numeri sono motivo di contendere) che dovranno sta­re a casa (per un massimo di 5 anni) senza stipendio e senza pensione proprio per­ché la riforma ha innalzato i limiti per otte­nerla. Ovviamente per chi vive questa si­tuazione, l’umore è nero. È comprensibi­le. E il governo ha messo sul piatto le risor­se per risolvere i casi più eclatanti (circa 65mila).

Ma scusate signori, come deve essere l’umore di categorie molto meno protet­te, che proprio grazie al nostro generoso si­stema previdenziale oggi faticano a cam­pare? Coloro che si stracciano le vesti per gli esodati (che comunque un lavoro l’hanno avuto e una pensione ce l’avran­no) cosa pensano dei «paria-subordina­ti»? Gente che guadagna quattro soldi e con scarsa tutela sociale, proprio perché la torta se la sono mangiata i loro genitori. E come la mettiamo con centinaia di mi­gliaia di invisibili che sono stati licenziati per crisi aziendale e si trovano nella sfortu­nata condizione di essere solo dei quaran­ta- cinquantenni? E gli imprenditori, gli ar­tigiani, i commercianti, gli agricoltori (per lo più piccoli e micro) che chiudono, che welfare hanno? La risposta sindacale a queste domande la conosciamo: «Non si possono abbassare i diritti per tutti, biso­gna aiutare anche loro ». Sì boom, con qua­li soldi? La realtà è che la Fornero ha mes­so mano, come dice bene Ichino (www. pietroichino.it) ad una riforma che restitu­isce un po’ di speranza anche ai giovani. Per anni ci siamo illusi di pagare pensioni a 60 anni dopo 37-38 anni di contribuzio­ne, con i soldi delle generazioni future. Questo è il gigantesco inganno dello sche­ma Ponzi del nostro sistema pensionisti­co. L’Ocse, non la Fornero, ha calcolato che i Paesi occidentali nel 1950 andavano in pensione a 64,5 anni e nel 1993 a 62,7 no­nostante sia aumentata, grazie al cielo, la speranza di vita di cinque anni.

I giovani e i meno giovani di oggi sono di fatto gli esodati di domani. Solo che la loro sofferenza è differita. E nessuno li proteg­ge. Solo una riforma seria delle pensioni (come quella Fornero) li tutela. Discorso analogo per le ferie di Polillo. «Ne faccia­mo troppe » dice il sottosegretario. Il pun­to è che anche in questo campo esistono due Paesi: quello dei tutelati e quello che non lo è. Chi ha il suo bel contrattino ha tut­te le garanzie; e gli altri sfacchinano. Ci so­no alcuni settori (soprattutto quello pubblico) in cui si pensa che i pasti siano gra­tis. Un mondo fatto solo di diritti e di po­chissimi doveri.

La parola d’ordine di chi vuole mantene­re immutata questa ingiustizia è: dignità del lavoro. Palle. Siamo tutti abituati alla nostra cuccia. E pensiamo di poter vivere all’infinito rimandando il pagamento del conto ai nostri figli.

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